“Il pronto soccorso non è solo la prima linea della nostra Sanità, ma è anche l’emblema dei suoi mali atavici”. È questa l’estrema sintesi di un accurato pezzo di Paolo Russo su La Stampa a proposito del dramma che stanno attraversando i Pronto soccorso italiani, e di conseguenza i malcapitati che ci finiscono dentro. Ma un presupposto in tutto questo è fondamentale: il Covid, al contrario di come vuol far credere qualcuno, non c’entra nulla. “Con la presente si comunica che al momento non sono più disponibili barelle per garantire l’osservazione dei pazienti nel dipartimento di emergenza e accettazione”. Questo il dispaccio delle 3 di notte del 27 dicembre dell’ospedale Maria Vittoria di Torino. “Sette pazienti in area rossa piena. Non disponibili posti monitor”, stesso giorno, stessa città, “Ordine Mauriziano Umberto I”. Ma lo stesso vale per Roma, Napoli, Torino. E anche nelle città di provincia. Pronto soccorso in tilt. (Continua a leggere dopo la foto)
È da rintracciare lì la spia rossa che lampeggia sul cruscotto per dirci, qualora non l’avessimo ancora capito in pandemia, che la nostra sanità è malata. Non è affatto raro, purtroppo, leggere di pazienti lasciati anche giorni e giorni su scomode e affastellate barelle nelle astanterie o nei corridoi. E cosa dire delle ambulanze bloccate nei parcheggi proprio perché sprovviste di barelle? Il tutto viene poi reso ancora più drammatico da una carenza cronica di personale. Mentre chi resta, stanco e demotivato, pensa alla fuga. “Magari per andare a far soldi nelle cooperative che poi affittano a gettone gli stessi camici bianchi pagati però quattro volte tanto i dipendenti”. È infatti questa un’altra stortura del sistema. Intanto Simeu, la Società scientifica della medicina di emergenza e urgenza dalla ricognizione di studi internazionali in materia, stima un aumento del 30% della mortalità quando i dipartimenti di emergenza sono affollati. Comprensibile. (Continua a leggere dopo la foto)
Nei nostri pronto soccorso mancano di fatto 3 medici su 10 e solo il 58% dei camici bianchi che ci lavorano è un dipendente. Scrive Russo: “Gli altri vengono pescati qua e là tra i medici convenzionati, che specialisti non sono. Oppure si fa ricorso sempre più massicciamente alle cooperative che affittano i medici a gettone, con tariffe orarie da tre a sei volte superiori a quelle dei loro colleghi interni”. Fabio De Iaco, presidente Simeu, spiega: “Più ancora della carenza cronica di personale, il problema è quello dell’uso improprio del pronto soccorso, perché arrivano da noi pazienti che non vengono filtrati dal territorio e, soprattutto, il fenomeno diffusissimo del bording. Ossia dei pazienti assistiti da noi anche per giorni in lettiga perché nei reparti non ci sono letti disponibili”. (Continua a leggere dopo la foto)
Ma il problema è di tutta la filiera. Perché il medico di base non si trova, la guardia medica in genere consiglia di chiamare il 118 e così tutto si riversa sul pronto soccorso che si ingolfa sempre più e non riesce a gestire tutto, dal codice verde a quello rosso. E come non denunciare i tagli selvaggi e criminali ai posti letto subiti dai reparti di anno in anno, di governo in governo? Non è raro leggere di chi è stato costretto a passare fino a una settimana nell’astanteria di un pronto soccorso. Intanto più del 50% dei malati che necessitano di una risposta urgente aspetta per non meno di 9 ore in sala d’attesa. Sono questi i dati, è questa la fotografia di un sistema che non va. Come si vede, il Covid – inteso come malattia – non c’entra nulla.
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