La Regione Lombardia aveva rassicurato: «Non si preoccupi, le basta rivolgersi a un qualsiasi hub vaccinale in Italia». Ma per Gian Carlo Frigerio, medico, le cose non sono andate esattamente lisce come l’olio. Al suo rientro in Italia, infatti, è iniziata la sua personale battaglia burocratica per farsi registrare la terza dose di vaccino fatta negli Stati Uniti, dove si reca spesso per lavoro. La sua testimonianza viene riportata da Il Fatto Quotidiano.
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Un’odissea burocratica
«Un’odissea», riferisce scoraggiato il dottore. Perché il tesserino con il QR code che viene rilasciato negli Usa dal Center for Desease Control and Prevention (omologo del nostro Istituto superiore di sanità) non viene riconosciuto dal sistema italiano che ha il compito di emettere il famigerato Green Pass. Questo nonostante Frigerio abbia fatto le prime due dosi in Italia, sempre con il vaccino Pfizer. Il problema è reale, capita a tutti coloro che viaggiano dagli Usa in Italia, nonostante lo Pfizer sia autorizzato anche in Europa dall’Ema. Ma non solo, capita a chi arriva dal Regno Unito e a chi si è inoculato un farmaco non riconosciuto degli enti regolatori, magari arrivando da altri Paesi non membri dell’Unione Europea.
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Milioni di “fantasmi”
«Mi sono anche rivolto – spiega Frigerio – all’azienda sanitaria di Lecco, dove mi hanno detto di inviare la documentazione necessaria a registrare la terza dose. Dicendomi che dovrò aspettare almeno tre settimane: perché tutti i giorni ricevono una media di 700 richieste di riconoscimento. E senza green pass non posso fare nulla. Non sono riuscito nemmeno a ritirare due raccomandate all’ufficio postale e a fare alcune operazioni in banca». Se consideriamo che gli italiani residenti all’estero iscritti all’Aire (l’apposita anagrafe) sono 5,6 milioni, ça va sans dire, la falla nel sistema potrebbe riguardare, plausibilmente, centinaia di migliaia di persone.
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Anche il turismo ne paga le conseguenze
E per quanto concerne il settore del turismo? Un disastro. L’Italia, infatti, riconosce solo i vaccini autorizzati dall’Ema e considera equivalenti quelli prodotti su licenza da AstraZeneca (Covishield, R-Covi, Fiocruz). Per registrare una somministrazione effettuata in un Paese extra Ue, il Belpaese richiede una certificazione rilasciata all’interessato, che deve essere redatta in inglese, francese, spagnolo o tedesco e accompagnata da una traduzione giurata se in una lingua diversa. Poi è necessario indicare, insieme al tipo di vaccino ed il lotto da cui proviene. Non proprio una procedura semplicissima, che si aggiunge alla marea di altre regole restrittive che solo in Italia ancora abbiamo.
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L’autolesionismo dell’Italia
Insomma, siamo sempre bravi a tirarci la zappa sui piedi da soli, andando a complicare tutto il complicabile, rendendo difficoltosa la vita dei cittadini e scoraggiando quel flusso turistico che tanto ci servirebbe in momenti di crisi economica come quello che stiamo vivendo.
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