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Luigi Di Maio il complicatore. Il discorso che non passerà alla storia: ecco perché

Pubblicato il 24/01/2020 15:24

di Adriano Meis

Mercoledì 22 Gennaio 2020, il capo politico del MoVimento 5 Stelle Luigi Di Maio si è presentato sulla scena del Tempio di Adriano in Roma, durante la presentazione dei “facilitatori” regionali per un discorso col quale ha rassegnato le sue dimissioni da leader di quel partito che alle elezioni politiche del 2018 aveva stabilito un altro dei suoi primati, e cioè raccogliere un numero inaspettato di voti, quindi di seggi in Parlamento. Il Ministro degli Esteri, nella sua veste di “complicatore” arriva e legge un testo al quale, a suo dire, sta lavorando da circa un mese.

Luigi Di Maio il complicatore. Il discorso che non passerà alla storia: ecco perché


E questa è forse la prima debolezza del poco più che trentenne napoletano. Non un canovaccio ma un vero e proprio scritto, lungo e inesorabile. Non va più a braccio ma legge ad alta voce ed interpreta. Imposta la voce, alza e abbassa i toni, come avrà fatto parecchie volte durante le prove del discorso. Da quando è Ministro degli Esteri oramai si presenta sempre con un testo scritto, una routine che probabilmente ne ha logorato la sua sicurezza sulla ribalta pubblica. I facilitatori non se ne accorgono. Non criticano, anzi osannano. Non si rendono conto che non c’è bisogno di un paracadute se il salto non fosse nel vuoto, cosi come non c’è bisogno di ammortizzatori se la strada non fosse sconnessa e non ci sarebbe bisogno di facilitatori se il marchingegno non fosse ingenuamente e terribilmente complicato.

Luigi Di Maio il complicatore. Il discorso che non passerà alla storia


Luigi di Maio divaga e gira intorno al tema sue dimissioni, non va dritto al punto, ma sopratutto, come noteranno poi gli editoriali del giorno dopo, non spiega il perché del suo gesto. Non chiarisce il motivo e neanche giustifica la tempistica scelta, altro mistero del soleggiato pomeriggio romano. Lui ha ricevuto un mandato pieno come capo politico del MoVimento, ma il termine di questo non scadeva affatto in questi giorni. Anzi. Quando pronuncia le parole: “Il mio lavoro termina qui” alcuni restano increduli chiedendosi. Ma quale lavoro? In base quale criterio esiste questo termine? Ma sopratutto, usando uno slogan tanto caro agli attivisti 5 stelle, quando è stato deciso che avresti rimesso il mandato a due mesidagli Stati Generali e a 4 giorni dalle elezioni spartiacque dell’Emilia Romagna? La prima ipotesi è che non vuole più mettere la sua faccia sulle sconfitte del movimento. Vero, perché da tempo chiede maggiore responsabilità. Ma resta il fatto che il risultato elettorale dell’Emilia Romagna sarà per il Movimento un schema “loselose” a prescindere dal risultato, perché quei pochi punti percentuali raccapezzati dai grillini serviranno o per fermare il PD e consegnare per la prima volta la storica Regione rossa al centro destra, oppure, nel caso di vittoria di Bonaccini, per determinare l’irrilevanza dei 5 stelle in un eventuale accordo giallorosso a livello locale. Di Maio ha già perso in questo schema. Diteglielo. Una seconda ipotesi, meno accreditata, vede Di Maio dimettersi prima delle elezioni per scrollarsi di dosso un’alleanza che gli hanno imposto prima i parlamentari impauriti dallo spettro delle elezioni, e poi Grillo, che a conti fatti preferirebbe tentare ancora di iscriversi al Partito Democratico e cambiarlo da dentro. La terza ipotesi, quella più realistica. Se ne va lui prima che lo caccino.

Luigi Di Maio il complicatore. Il discorso che non passerà alla storia


Uno degli aspetti più irritanti del discorso che non passerà alla storia, è che non segue lo schema del leader dimissionario, cioè, secondo una legge politica non scritta ma tramandata per via orale, il vero leader, nel momento del commiato, si assume tutte le responsabilità, si fa carico di tutte le colpe. Lui no. Non vede il tracollo di cui è stato artefice ma addirittura rincara la dose. Al grido di: “Io ho sempre avuto fiducia in tutti voi”, affermazione falsa come una banconota da 3 euro e mezzo, si scaglia verso chi in questi anni ha remato contro; additando coloro che hanno pensato solo al proprio tornaconto personale anziché all’interesse generale. Ma fa di più. Ringrazia ampiamente lo staff comunicazione, cioè quel gruppo di persone, all’interno del quale da anni, nessuno ha mai pagato per le sconfitte elettorali. Che tempi quando nel lontano 2015 Gianroberto Casaleggio decapitò l’allora comunicazione della Camera complice della sconfitta elettorale alle Europee. Oggi invece no. Nello schema familistico e amicale del partito di Luigi Di Maio le teste non possono cadere perché la maggior parte delle persone che compongono lo staff sono amici fidatissimi. E ad un amico si perdona tutto.

Luigi Di Maio il complicatore. Il discorso che non passerà alla storia


Il complicatore va ancora avanti e arriva alla sceneggiata mediatica dell’elogio della cravatta. Un siparietto in puro stile casaleggiano (chissà di chi è stata l’idea?) buono soltanto per immortalare il momento del passaggio di consegne. Un vero e proprio esercizio base di comunicazione. Non passerà alla storia il discorso, ma resterà impresso solo quel momento in cui, un nodo forse troppo stretto vien sciolto, per dare respiro ad un Movimento sull’orlo del soffocamento.

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