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Lamento di un cittadino professionista

Pubblicato il 30/03/2020 09:22 - Aggiornato il 30/03/2020 09:30

di Lorenzo Borrè, avvocato

“E tu che faresti?!”. È la solita, polemica domanda che si sente rivolgere in questi giorni chiunque osi opinare sull’efficacia e sulla tempestività delle misure governative. Domanda malposta quando la si rivolge a chi non si è mai candidato alla guida del Paese e, come semplice cittadino, si accontenterebbe di un Esecutivo che emani provvedimenti normativi chiari, improntati ad un’effettiva giustizia sociale e, soprattutto, che non contraddicano quello che si è predicato appena una settimana prima, come avvenuto al principiare di marzo allorché, dopo aver impugnato innanzi al TAR l’ordinanza del governatore marchigiano che disponeva la chiusura delle scuole, è stato emanato dal Governo nazionale un decreto legge per tutto il territorio repubblicano.

Ed è ancora forte l’impressione, a due mesi dall’adozione del decreto che ha dichiarato lo stato d’emergenza epidemiologica, che si continui a navigare a vista, sordi -o quasi- alle osservazioni critiche che vengono dalla società civile, dai cittadini, come dagli esperti, alle quali si replica con la frase d’ordinanza «Si tratta di un primo intervento per fronteggiare immediatamente la situazione di emergenza», salvo poi rappezzare i primi provvedimenti con nuovi che ne ricalcano l’errore d’impostazione. È il caso del recentissimo decreto interministeriale partorito da Nunzia Catalfo e Roberto Gualtieri con l’intento di sostenere il reddito dei lavoratori autonomi e dei professionisti iscritti agli enti di diritto privato di previdenza obbligatori (le cosiddette “Casse previdenziali”).

Orbene: il decreto prevede che duecento milioni di euro del Fondo per il reddito di ultima istanza siano devoluti in favore dei “ lavoratori che abbiano percepito, nell’anno di imposta 2018, un reddito complessivo non superiore a 35mila euro; nonché dei lavoratori che, sempre nell’anno di imposta 2018, abbiano percepito un reddito complessivo compreso tra 35mila e 50mila euro e abbiano cessato, ridotto o sospeso la loro attività autonoma o libero-professionale di almeno il 33% nel primo trimestre 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019, sempre a causa del virus COVID-19”. Si tratta a mio avviso di un provvedimento che introduce criteri di forte sperequazione sociale in quanto rapporta l’erogabilità della misura indennitaria al reddito del singolo lavoratore/professionista, anziché -come avviene ad esempio per il reddito di cittadinanza, di cui la Catalfo è stata ideatrice e portabandiera- alle condizioni economiche dell’intero nucleo familiare.

Mi spiego: il decreto, per come è stato congegnato, consente che un nucleo famigliare composto -in ipotesi- da un ingegnere e un avvocato , senza figli ed entrambi con un reddito annuo nel 2018 di 32.000,00 euro (quindi di complessivi 64.000 euro) riceverà un’indennità integrativa complessiva di 1.200,00 euro al mese, mentre la famiglia di un architetto con moglie casalinga e due figli ed un reddito pregresso di 52.000 euro non riceverà invece alcun aiuto… Anche la previsione di collegare l’indennità al calo di 1/3 delle entrate nel primo trimestre del 2020 rispetto al primo trimestre dell’anno precedente si dimostra sorda alle osservazioni fatte dai tecnici della società civile a proposito degli analoghi criteri adottati nel decreto (sedicente) “Curaitalia”: la comparazione con il primo trimestre dell’anno non è invero da considerarsi congrua, visto che la crisi si è verificata a marzo e che gli effetti penalizzanti si vedranno anche nei mesi successivi e non certo retroattivamente…

Al momento, altro prevedibile effetto collaterale della normazione d’urgenza sarà la lacerazione sociale tra locatori e conduttori di immobili commerciali colpiti dai provvedimenti di chiusura forzata: in assenza di specifiche previsioni normative, i primi (che allo stato non sono esonerati dal pagamento dell’IMU) pretendono infatti di essere comunque (prima o poi) pagati, rilevando come il sedicente Curaitalia preveda comunque il rimborso -sotto forma di credito d’imposta- del 60% dell’importo del canone di marzo, mentre i secondi allegano il factum principis come motivo di inesigibilità del canone. Contrapposizioni che, se non risolte o quantomeno chiarite, con uno degli ennesimi, futuribili decreti emergenziali, rischia di sfociare in un contenzioso giudiziario, stressando il già logoro legame sociale di una cittadinanza che ha già smesso di cantare al balcone e si chiede, preoccupata, cosa le riserverà il domani: il problema non è la caduta, ma l’atterraggio.

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