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Liste di proscrizione, ecco chi c’è dietro. I Servizi Segreti scovano la talpa che ha passato la lista ai giornali

Pubblicato il 13/06/2022 19:45

Dopo il contestato “scoop” del Corriere della Sera sulle liste di proscrizione dei cosiddetti “Putiniani d’Italia”, è partita la caccia alla talpa che ha consegnato ai giornalisti il report riservato. Secondo La Verità, i maggiori sospetti ricadono su un dirigente del DIS che avrebbe rapporti datati con una delle giornaliste che hanno pubblicato l’articolo. Anche se, c’è da dire, che la lista dei possibili fautori del “leak”, ovvero della fuga di notizie, è piuttosto variegata.
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Le liste di proscrizione

I presunti documenti dei Servizi Segreti riguardanti i nomi sulle liste di proscrizione, sono classificati con il grado più basso di segretezza in una scala di 5 – riservato, riservatissimo, segreto, segretissimo, segretissimo Nato, e riguardano coloro che farebbero della presunta disinformazione in Italia. L’elenco di nomi sarebbe abbastanza corposo, visto che all’ultima riunione del tavolo sulla cosiddetta minaccia ibrida della disinformazione, che dal 2019 si sarebbe riunito meno di una decina di volte, avrebbero partecipato esponenti dei nostri apparati di sicurezza (Dis, Aisi e Aise), dei ministeri degli Affari esteri, dell’Interno, della Difesa e dello Sviluppo economico (coinvolto nell’oscuramento di alcuni canali tv), del Dipartimento dell’informazione e dell’editoria che dipende da Palazzo Chigi, della neonata agenzia per la cybersicurezza nazionale e dell’Agcom.
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Di chi è la “manina”

Eppure, non è detto che il documento sulle liste di proscrizione sia stato consegnato ai giornali da uno dei partecipanti alla riunione, bensì potrebbe essere uscito addirittura da un ufficio di piazza Dante, sede del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, dove si riunisce il gruppo di lavoro. Le dure parole pronunciate da Gabrielli avranno certamente colpito chi ha fatto trapelare le informazioni. Il sottosegretario ha, infatti, dichiarato che «È una cosa gravissima e che ha creato grande discredito. Ovviamente per chi mi conosce sa che nulla rimarrà impunito». Gabrielli ha spiegato di sentire di doverlo fare per il Paese, tutelando la credibilità della nostra intelligence, specificando che nella stessa «ci sono persone di cui volentieri faremmo a meno». Parole che potrebbero far pensare che Gabrielli abbia già un’idea di chi possa essere la talpa.
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Gabrielli nega il dossieraggio sui cittadini

Anche se, in prima battuta, Gabrielli ha negato dossieraggi di semplici cittadini, di giornalisti o di politici, le spiegazioni non hanno del tutto convinto. L’ex direttore del SISDE e dell’AISI ha provato a minimizzare: «Le persone citate nel bollettino lo sono con riferimento a due vicende molto specifiche non alle loro opinioni». Sarà vero? Ci sono dei dubbi. Il sottosegretario ritiene diffamatoria qualsiasi ipotesi di «attività di penetrazione informativa» ordinata da Palazzo Chigi. Nessun indirizzo in tal senso sarebbe stato dato ai servizi dal suo ufficio di autorità delegata. Ma ha ammesso l’esistenza di «un lavoro di intelligence sulle fonti aperte».
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La guerra contro le fake news

A Gabrielli non vanno particolarmente a genio le “fake news”. L’ex capo della Polizia ha, infatti, ricordato che la disinformazione è la «figlia minore della modalità con la quale si possono recare danni significativi alla sicurezza di uno Stato». Per poi sottolineare che «Le opinioni anche quelle non consone ai propri pensieri devono essere sempre rispettate. Cosa diversa sono le fake news e l’attività volta a una diversa» e non meglio identificata «orchestrazione», di qualche rete straniera, che, qualora individuata, «potrebbe essere oggetto di un’attività di altro tipo». Quali siano i parametri per stabilire cosa stia al di là della sottile linea delle manipolazioni, però, non è dato saperlo.
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Il Grande Fratello europeo

Bruxelles ci avrebbe invitato a «fare un focus sulla disinformazione perché è ovvio che esistano anche delle intenzionalità, delle etero direzioni di questi fenomeni». Infatti, «siamo in una lista di Paesi ostili e quindi possono essere posti in essere comportamenti che attengono alla minaccia ibrida», ha avvertito Gabrielli. Le analisi «hanno eminentemente un carattere ricognitivo», pur restando «nell’ambito delle singole responsabilità i soggetti che partecipano al tavolo hanno la possibilità di sviluppare» gli approfondimenti. A chi si oppone a questo tipo di monitoraggio, Gabrielli, un po’ stizzito, ha ricordato la vicenda di Cambridge Analytica, ovvero la società di consulenza che era in grado di influenzare le campagne elettorali grazie ad internet.
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La rete degli 007 cattura tutti

Dunque, nel mirino dei nostri servizi segreti ci sarebbero i cittadini che diffondono la propaganda e le fake news di potenze straniere in cambio di denaro (o per altri poco edificanti motivi). Peccato però, che nella rete degli 007 nostrani ci finiscano anche le libere opinioni. Sarebbe questo il motivo che, con tutta probabilità, ha portato il sottosegretario ad annunciare simili provvedimenti disciplinari: «Il documento è arrivato nelle mani dei giornalisti non perché è sceso dal cielo» ma grazie a «qualche mano solerte».
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Il controllo totale va avanti

Dunque alla fine, probabilmente, l’Italia avrà il suo capro espiatorio. Gabrielli si sta ergendo ad integerrimo salvatore dell’onorabilità dei Servizi Segreti italiani, forse dimenticandosi le sue dirette responsabilità in tutta questa vergognosa faccenda. In un Paese normale, infatti, la gravità della questione è sul fatto stesso che esista una lista del genere, non tanto che sia stata passata a qualche giornale. Cosa peraltro che denota molta poca furbizia vista la dubbia legittimità sulla redazione di simili documenti. Di contro, l’altro lato oscuro della medaglia è che continueremo ad avere anche un pool di cyber analisti dediti al controllo di ciò che scriviamo sui social, in generale, su Internet. Plausibilmente, infatti, nessun governo, che sia di destra o di sinistra, rinuncerà mai ai propri strumenti di controllo.

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