Una crisi che rischia di assumere connotati titanici, sempre più grave col passare delle ore. E che ha già iniziato a presentare un conto che si preannuncia salatissimo, mettendo in ginocchio le imprese: il bilancio è di 71 fiere posticipate, 28 internazionali e 43 nazionali, altre 22 cancellate e una trentina a serissimo rischio rinvio o annullamento. Un disastro senza precedenti che ha finito per coinvolgere 15 mila aziende esportatrici, trovatesi di colpo a fare i conti con un milione di visitatori sfumati e oltre 7 miliardi di euro andati in fumo.
Numeri terrificanti, quelli del coronavirus in Italia, una bufera che si è abbattuta prima sulla Lombardia, poi su Veneto ed Emilia-Romagna e poi su tutto lo Stivale, infine in Europa. Un domino pericoloso, che continua a mietere giorno dopo giorno vittime, a volte anche dai nomi illustri. Il Cibus di Parma potrebbe slittare da maggio a settembre, mentre il Vinitaly di Verona dopo vari tentativi ha finito per cedere, anche a seguito delle misure restrittive introdotte di recente nei vari Paesi. Ma la lista, arrivati a questo punto, era già lunghissima.
Annullati, in ordine sparso, Mido, il Salonde del Mobile a Milano, il Cosmoprof a Bologna, il Samoter a Verona, il Mercanteinfiera a Parma. Da Ginevra arrivava intanto la notizia dell’annullamento del Salone dell’Auto, da Barcellona quello della telefonia mobile, da Dusseldorf il forfait di Prowein, il Vinitaly tedesco, Wire, Tube, Beauty, Top Hair, Energy Storage Europe e Light+Building. Da Francoforte, invece, lo stop all’Itb, la mostra internazionale del turismo. La lista, a quel punto, si era fatta lunghissima, con misure analoghe adottate in ogni Stato, dalla Francia ai Paesi Bassi.
Un danno tremendo per un’industria fieristica, quella italiana, al quarto posto per importanza tra quelle mondiali, con 200 mila espositori coinvolti ogni anno dalle nostre fiere. Un giro d’affari da 60 miliardi di euro. I grandi nomi richiamano alla calma, cercano di guardare il bicchiere mezzo pieno sostenendo che misure del genere siano necessarie in questo momento per ripartire più forti fra qualche mese. A pagare pegno sono però nel frattempo le aziende che lavorano nell’indotto in tutto lo Stivale, che hanno già lanciato un accorato appello: “Siamo in ginocchio, molti di noi hanno già bruciato il 30% del fatturato annuo”.
Ti potrebbe interessare anche: https://www.ilparagone.it/attualita/coronavirus-governo-alitalia-mes/