Riaprire o non aprire? È questo il grande punto interrogativo per il governo. Se da una parte i presidenti di Regione, gli imprenditori e le aziende premono perché di soldi non ne hanno più e l’esecutivo tarda a farglieli arrivare (sempre ammesso che mai gli arrivino), dall’altra la politica e il comitato scientifico frenano. Lombardia e Veneto sono due delle Regioni più colpite dalla pandemia di coronavirus, e sono anche le due Regioni che più di tutti stanno premendo per riaprire. Il governatore Zaia, ad esempio, è stato perentorio e non sbaglia quando dice al Corriere: “Il vero tema è decidere se chiudere tutto e morire in attesa che il virus se ne vada o aprire e convivere perché oltre ad un certo limite non è più sostenibile. Se ci sono i presupposti di natura sanitaria dal mondo scientifico, si può aprire con tutto anche prima del 4 maggio”. Già, perché chi è sui territori sa che nel frattempo le persone iniziano – letteralmente – a morire di fame.
Dello stesso avviso sembra essere Pierluigi Magnaschi che con uno straordinario pezzo su ItaliaOggi denuncia che tutti (premier in testa) fingono di non sapere che c’è già gente che muore di fame. E continuare a lasciare l’Italia “chiusa” di certo non migliorerà la situazione. Scrive Magnaschi: “Il mio scoop è questo: centinaia di migliaia di famiglie italiane sono oggi letteralmente alla fame. Lo sono perché, essendo povere e non avendo risorse da parte e soprattutto non essendo prese in considerazione da nessuno sono state investite in pieno dallo tsunami del coronavirus senza disporre di ammortizzatori e nell’indifferenza di tutti, e soprattutto di quel ceto politico che avrebbe dovuto essere stato eletto per difenderle”.
Magnaschi regala un ritratto perfetto della condizione in cui versano, oggi, in questo momento, milioni di italiani: “Improvvisamente queste famiglie, e sono centinaia di migliaia, in aumento ogni giorno di decine di migliaia, nell’indifferenza di tutti, si sono trovate senza risparmi (anzi con qualche debituccio ineliminabile) e senza redditi”. C’è chi ha perso il posto (barman, cameriere, sguattero, commesso, pulitore di vetrine e così via) “perché la microimpresa (che magari tanto lo apprezzava) è stata chiusa per decisione (giusta) dello Stato. Il quale Stato però, mai indispensabile come adesso, se funzionasse, si è dimenticato di risarcire l’impresa (come nel caso degli espropri) per il sacrificio che gli ha imposto a nome della società”. Già, è questo il punto: lo Stato continua a far star chiusa l’Italia ma non aiuta economicamente chi ne sta pagando il prezzo più alto.
“Per questo tipo di famiglia che è sul bordo del precipizio, l’intervento sostitutivo di uno Stato degno di questo nome dovrebbe essere immediato, sicuro, certo e continuativo. Così come lo è la bombola dell’ossigeno per i malati di coronavirus curati in casa. Il governo delle 48 pagine piene di 19.845 parole, del decreto, sulla “liquidità”, aveva inventato, per gli esercizi commerciali che possono ottenere la cassa integrazione in deroga, l’obbligo, da parte delle aziende costrette a chiudere e quindi con l’acqua alla gola, di anticipare, a favore dei loro dipendenti, l’ammontare della cassa integrazione, della quale sarebbero poi state rimborsate solo in occasione della loro successiva rata fiscale”. Un’assurdità.
Infine Magnaschi lancia un allarme, che ormai sono in tanti a toccare con mano: “Oltre alla mattanza sociale (che è inaccettabile) il governo (perché è a lui che competono queste scelte) gioca anche con la stabilità civile. Una famiglia, quanto può resistere senza reagire in questa situazione di estremo bisogno? Un disperato è pericoloso. Un milione di disperati nel pieno delle forze (e della disperazione) può diventare pericolosissimo”.
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