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“Si era incatenato davati al tribunale”. Suicida l’imprenditore: “Prima il Covid poi lo sfratto lo avevano spezzato”

Pubblicato il 26/01/2023 18:46

Alla fine, stanco di lottare, si è arreso: Massimo Baggio, imprenditore trevigiano, si è tolto la vita. Nel luglio del 2021 l’uomo aveva minaccia di farsi esplodere, con un ordigno che aveva nascosto in una borsa, proprio all’ingresso del Palazzo di Giustizia di Treviso, legatosi a una maniglia della porta. Oggi apprendiamo del gesto estremo. Dopo aver subito il fallimento della propria azienda di autotrasporti, per il recupero creditizio Baggio si era visto sfrattato esecutivamente dalla propria stessa abitazione, una villetta a Resana, nei dintorni del capoluogo. Ad aggravare il malessere, tanto esistenziale quanto economico, l’imprenditore 56enne non stava vivendo una situazione familiare serena, a quanto emerge dalle prime ricostruzioni. Sotto il peso enorme di queste criticità l’uomo non ha retto. Il 7 luglio del 2021, come dicevamo, Massimo Baggio, in preda alla disperazione, aveva inscenato la clamorosa protesta all’ingresso del tribunale di Treviso. Chiedeva garanzie per i suoi tre figli minorenni, rivolgendosi alle istituzioni da cui si era sentito abbandonato. (Continua a leggere dopo la foto)
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imprenditore 56enne suicida fallimento

“Non mi interessa se vado in galera, ma voglio garanzie per i miei figli”, aveva urlato. Riferendosi alla villetta di sua proprietà e sottoposta a sfratto, aveva anche affermato: “Sono venuti in quella casa a dire che i miei figli devono andarsene via”, e pertanto chiedeva di parlare con il curatore fallimentare e il giudice. Dopo tre ore di trattative con le Forze dell’ordine, l’uomo era stato infine portato all’interno del tribunale e gli artificieri avevano verificato il contenuto del borsone, da cui uscivano dei fili, mentre in mano Baggio teneva una sorta di telecomando. Fortunatamente il fantomatico ordigno era in realtà un bluff: all’interno del borsone c’erano soltanto una bottiglietta d’acqua e qualche pacchetto di fazzoletti. Andò a finire che la villetta fu venduta all’asta. Evidentemente, non valse a nulla neppure l’appello del sindaco di Resana, Stefano Bosa, che pur condannando il gesto aveva dichiarato che la famiglia andava aiutata. Così non è stato, purtroppo. (Continua a leggere dopo la foto)

Purtroppo si tratta solo di una – emblematica – storia tra le tante che abbiamo appreso in epoca Covid, quando migliaia di attività e di aziende non hanno retto il peso delle chiusure e delle altre misure stringenti che hanno messo in ginocchio il tessuto economico del nostro Paese. Paese che proprio nelle micro, piccole e medie imprese aveva il suo fiore all’occhiello e il proprio traino economico.

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