Non è solo l’emeregenza Covid-19 in sé a spaventare i pazienti costretti, a causa delle patologie che li affliggono, a sottoporsi in questi giorni a visite e cure. Oltre al rischio di contrare il virus, particolarmente pericoloso per chi già soffre di altri problemi di salute, a preoccupare è infatti la situazione delle strutture italiane, tutte concentrate nella lotta alla pandemia e costrette a sacrificare tempo e risorse da impiegare sul altri fronti. E così, per esempio, ecco arrivare in queste ore l’allarme della Società Italiana di Chirurgia Oncologica (Sico), che ha parlato di “importante riduzione in quasi tutti gli ambiti della chirurgia oncologica”. Chi frequenta gli ospedali per combattere un tumore, insomma, si è trovato comunque a fare i conti con il coronavirus.
In estate gli specialisti avevano rassicurato tutti, pronti a concentrarsi nuovamente su tutti quei casi trascurati durante la prima ondata della pandemia. Poi, però, è arrivata la seconda, trovando completamente impreparato governo e, in diverse Regioni, sistema sanitario. I calendari degli interventi di chirurgia oncologica per ora sono rimasti invariati, ma la preoccupazione tra i pazienti cresce settimana dopo settimana. Alle pagine de La Stampa Ugo Boggi, capo dell’unità operativa complessa di chirurgia generale e trapianti dell’azienda ospedaliero-universitaria di Pisa, ha parlato del “rischio che negli ospedali ci si ritrovi ancora di fronte a una competizione tra pazienti”.
Dati alla mano, almeno 70 mila italiani hanno dovuto fare i conti nei mesi scorsi con lo slittamento di un intervento chirurgico o con modifiche al giorno e al luogo dell’operazione. Secondo Boggi, durante la pandemia “a risentire maggiormente della pandemia sono stati gli interventi che avrebbero portato al ricovero dei pazienti in terapia intensiva”. Parliamo, quindi, della cura di tumori al fegato, al pancreas, al peritoneo e dei sarcomi addominali. Una situazione figlia anche del calo degli accessi ai percorsi per la diagnosi e la riduzione della mobilità in Italia.
Inoltre, infermieri e anestesisti sono stati dirottati verso i pazienti più gravi tra quelli risultati positivi al Covid-19. Scelta obbligata, che però “ha portato a vedere prevalere i diritti degli uni su quelli degli altri” secondo lo stesso Boggi. Un problema dalle dimensioni imponenti che rischia di riaffaccarsi a breve, se i contagi non dovessero tornare presto a calare: “I dati ci dicono che l’attività negli istituti oncologici è calata meno che nelle altre strutture. Più in affanno invece sono andati gli ospedali generalisti”.
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