La Grecia è già passata sotto il tritacarne eurotedesco. Sa bene cosa vuol dire accettare gli “aiuti” dell’Europa e non intende ripetere lo stesso errore. Da Bruxelles hanno condannato un Paese intero alla fame (e non è un modo di dire), e stavolta ci riprovano, come con l’Italia, con questa balla del Recovery Fund, ma da Atene rispondono picche. Ma attenzione, non si tratta di semplice voglia di rivalsa, dietro ci sono motivi tecnici e di convenienza che in Grecia hanno imparato a capire bene, perché l’hanno vissuto sulla loro pelle. Per questo è importante, anche per l’Italia, guardare al loro esempio e alle loro motivazioni per evitare che Conte e i suoi ci portino alla rovina. Come spiega oggi (11 luglio) Antonio Grizzuti su La Verità, “Atene sa perfettamente che gli strascichi dell’austerità non si risolvono nel semplice rispetto dei (durissimi) obiettivi di bilancio imposti dai creditori”.
Uno dei disastrosi corollari della folle estate del 2015 fu il capitolo riguardante le privatizzazioni. “Durante quelle concitate settimane – ricostruisce Grizzuti – una fronda piuttosto consistente del Bundestag si oppose ferocemente alla concessione di nuovi aiuti al governo ellenico. C’era bisogno, dunque, di un tributo di sangue ancora più significativo per convincere l’opinione pubblica tedesca. Senza contare che l’esposizione delle banche teutoniche nei confronti del debito pubblico della Grecia non permetteva passi falsi di sorta. Fu così che, per tranquillizzare Berlino, il premier Tsipras cedette al ricatto forse più umiliante, e cioè quello di svendere alcuni asset nazionali dal valore strategico”.
Ecco, dunque, come la Germania ha stretto il cappio attorno al collo di un Paese morente, approfittando della carcassa per sciacallare le ultime briciole di una Grecia da sottomettere. “In prima fila per accaparrarsi il bottino, ovviamente, non potevano mancare i tedeschi. Già a dicembre del 2015, la tedesca Fraport chiudeva un accordo che, in cambio di appena 1,2 miliardi di euro, le garantiva il controllo di 14 importanti aeroporti regionali – tra questi Rodi, Corfù, Kos, Santorini e Zakynthos – per ben 40 anni. Potenzialmente, una miniera d’oro peri decenni a venire. Basti pensare che solo questi cinque scali nel 2019 hanno movimentato più di 1.5 milioni di passeggeri”.
Poi però è arrivato il Covid che ha colpito anche Fraport, la quale non ha mai versato i 22,9 milioni di euro di canone di concessione ad Atene. Come riportato ieri da ItaliaOggi, “oltre al prezzo di vendita stracciato, il contratto siglato tra Tsipras e la società tedesca di gestione degli aeroporti prevedeva un’altra postilla. Ovvero: le perdite ‘causate da eventi di forza maggiore’ – e l’emorragia di passeggeri legata al Covid rientrerebbe tra queste – vanno ripianate dal governo greco. E dunque, in ultima istanza, dai contribuenti ellenici”. Oltre al danno, l’ennesima beffa. Osserva giustamente Grizzuti: “Più che di privatizzazione sarebbe forse corretto parlare di cannibalizzazione”.
Questo è ciò che accade quando si accettano aiuti e condizioni di Bruxelles, si arriva poi a consegnare le chiavi di casa ai creditori che oltre a portare alla perdita dell’autonomia finanziaria, ti fanno piombare nel tuo Paese investitori senza scrupoli. Ancora sicuri che sia tutto bello dietro alla patina di Mes e Recovery Fund? Lo diciamo noi: no. Consegnare l’Italia a Bruxelles è mettere un’ipoteca sul nostro futuro.
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