Ormai è cosa nota a tutti, le società energetiche stanno facendo enormi profitti. I prezzi di gas e petrolio sono schizzato alle stelle, mentre i big dell’energia avevano acquistato la materia ben prima degli ultimi eventi, ad un prezzo molto più basso. Se lo Stato mette in campo alcune misure per tentare di arginare questo processo speculativo, ecco che le aziende preannunciano contenziosi. Ma, alla fine, chi pagherà le extra tasse disposte dal Governo? Facile, sempre noi.
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Una nuova tassa per i big
Con l’ultimo decreto Aiuti, il Governo ha stabilito che, per quanto concerne le compagnie energetiche, sulla differenza fra il prezzo di acquisto e quello di vendita del gas da ottobre 2021 a marzo 2022, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, verrà applicata in più una tassa del 25%. Il ministero del Tesoro, infatti, ha messo a bilancio un incasso di 11 miliardi di euro, il cui utilizzo dovrebbe essere quello di tentare di ridurre il peso delle bollette di famiglie e imprese. Un’ulteriore misura è stata quella di imporre un taglio di 30 centesimi sull’accisa di gasolio e benzina, che alla pompa hanno già sfondato i 2 euro al litro. Enel, Eni e Edison sono tra i principali obbiettivi di questa “extra tassa” e non hanno perso tempo a schierare in campo i loro migliori avvocati, sostenendo che «i calcoli sono sbagliati».
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La speculazione finanziaria
Come spiega Milena Gabanelli sul suo Dataroom, per sapere a quanto effettivamente ammonta l’extra profitto della lunga filiera di operatori, il Governo ha incaricato l’Arera di andare a vedere dentro ai contratti, le rinegoziazioni, l’attività di trading, e quanto pesano i costi dei derivati stipulati con le banche a protezione del rischio che il prezzo salga o scenda troppo in fretta. Difatti, il mercato vive di contratti di compravendita in cui la consegna del bene e il pagamento del prezzo pattuito, avvengono a una data futura prefissata. Sono i cosiddetti “futures” e non sono altro che scommesse in anticipo sul prezzo del gas, generalmente a tre mesi. In caso si preveda che il prezzo debba scendere, si comincia a vendere, al contrario, se si prevede che il prezo inizi a salire, ecco che si comincerà a comprare, gonfiando il prezzo.
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A farne le spese sono gli italiani
Ovviamente, a pagare tale speculazione è l’utente finale, mentre ad arricchirsi clamorosamente sono i grandi colossi e i fondi speculativi. I nomi sono sconosciuti ai più: Man Group, Systemic Investments, Florin Court Capital, Gresham Investment. Molti di loro hanno sedi in paradisi fiscali, e a Wall Street o a Londra. Con questo tipo di operazioni non si compra e vende gas naturale, ma i derivati a cui il bene fisico è agganciato. È un mondo talmente intricato e opaco che per Arera è impossibile definire una cifra precisa.
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Gli astronomici incassi delle compagnie
Dunque, come ha fatto il Tesoro a calcolare gli extraprofitti? È presto detto: sulla liquidazione Iva, cioè a quanto comprano la materia prima gli operatori e a quanto la vendono. Ovviamente Eni, Enel, Edison hanno da dire in merito, poiché secondo loro si tratterebbe di un valore grezzo. Inoltre, sollevano un problema di costituzionalità: «Perché dobbiamo pagare solo noi e non anche le banche, Unicredit e Intesa in testa, che con le polizze di copertura sul prezzo delle materie prime stanno facendo i soldi a palate?». In effetti c’è da pensarci. Nel frattempo, Enel ha chiuso il primo trimestre con ricavi passati da 18 a 34 miliardi, quasi il doppio rispetto allo stesso periodo del 2021. Nel primo trimestre 2022 anche Eni ha raddoppiato il fatturato, portandolo all’astronomica cifra di 32 miliardi di euro, mentre i profitti industriali sono passati da 1,3 miliardi a 5,2 miliardi di quest’anno. Edison passa a 7,1 miliardi di ricavi nel primo trimestre contro 2,1 di un anno prima.
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Chi paga davvero?
Ovviamente c’è da tenere sempre presente che stiamo parlando di società quotate, che hanno nella compagine sociale società di Stato, come Cassa Depositi o la francese Edf, ma anche un folto gruppo di investitori istituzionali, tra cui colossi del risparmio gestito, tra Londra e New York, che incassano lauti dividendi anche grazie alle bollette pagate dalle famiglie italiane. Ad ogni modo, la prima tranche di quegli 11 miliardi va versata entro il 30 giugno. Nel caso in cui operatori non pagassero il dovuto, i soldi che servono per aiutare le famiglie e imprese in difficoltà bisognerà trovarli aumentando il debito pubblico, o tagliando i già depauperati servizi pubblici. Ipotesi non così remota, visti i tempi di gestione dei contenziosi in Italia. In definitiva, i cittadini sono quelli che pagano tre volte: pagano le speculazioni, pagano le coperture per le extra tasse e pagano anche in caso di mancata copertura delle extra tasse. Povera Italia!
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