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Il gas (italiano) c’è, ma il governo lo blocca. Scoppia lo scandalo dei giacimenti nazionali

Pubblicato il 08/04/2022 09:51

L’Europa, preda della sua storica e intramontabile incompetenza, sta provando in tutti i modi a trovare una soluzione per poter rinunciare – secondo loro – al gas russo. Come si è già capito, andrà a finire che ci rimetterà davvero sarà solo l’Italia. La quale, intanto, al contrario dei proclami di Draghi&Co. sta persino chiudendo i propri giacimenti. Ma come? Non si dovevano implementare in questo momento di crisi? Come spiega allarmato Il Sole 24 Ore, “il ministero della Transizione ecologica nei giorni scorsi ha rigettato una carriolata di nuovi giacimenti di gas e di petrolio. Sono state respinte 37 richieste di poter indagare il sottosuolo presentate fra il 2004 e il 2009 da compagnie come Eni, Shell, Total, Northern Petroleum, Rockhopper, Aleanna, Mac Oil, Apennine e Canoel”. E perché? (Continua a leggere dopo la foto)

Da una parte “potrebbe essere chiamato «effetto Pitesai», cioè è una conseguenza di quel piano regolatore voluto dal Governo Conte i e diventato operativo quattro mesi fa”, dall’altra c’è un’incompetenza generale e diffusa in chi sta amministrando il Paese oggi. L’associazione confindustriale delle compagnie minerarie, Assorisorse, ha appena concluso un’analisi puntuale, giacimento per giacimento, delle conseguenze del piano regolatore Pitesai. Ecco la sintesi dello studio riportata dal Sole: “Il piano porterà al blocco e alla revoca di 42 su 45 permessi per cercare nuovi giacimenti. I primi 37 sono quelli già saltati. Sopravvivranno 3 permessi di ricerca, fra cui uno dell’Eni e uno della piccola compagnia emiliana Gas Plus”. (Continua a leggere dopo la foto)

Dei 108 giacimenti di gas oggi attivi (con il petrolio, 123 concessioni in tutto), “20 concessioni saranno revocate, 36 saranno soggette a verifica per stabilire se possono continuare a estrarre, 31 saranno soggette a limiti che congelano ogni investimento. Consolazione: 21 giacimenti su 108 non avranno problemi. Potrebbero esserci serie difficoltà nel realizzare quel piano di riscoperta dei giacimenti nazionali di gas che il decreto Energia vuole mettere a disposizione a prezzo convenzionato per l’industria energivora”. Ma che cos’è il Pitesai? “Pitesai è la sigla di Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee, un nome opaco il cui significato è: si può sfruttare il sottosuolo solamente nelle aree idonee in cui questa attività mineraria non dà disturbo”. E quindi? (Continua a leggere dopo la foto)

“Le aree idonee sono quelle non industriali, ma non devono neanche essere aree naturali, quelle in mare non devono essere troppo vicine alla costa, non centri abitati (un giacimento è stato definito area urbanizzata perché “urbanizzata” dagli insediamenti petroliferi), non colture di pregio (Puglia e Molise hanno deliberato “coltura di pregio” l’intera superficie regionale), non riserve naturali esistenti ma nemmeno aree in cui l’istituzione di una riserva è solamente ipotizzata per il futuro. Di conseguenza, riferisce la testata specializzata Staffetta Quotidiana, tra il 7 e il 14 marzo il ministero della Transizione ecologica ha rigettato 37 progetti di ricerche di giacimenti, di cui 27 per permessi di ricerca a terra e 10 in mare. Tra le vittime congelate dal Pitesai c’è il giacimento Giulia nel mare davanti a Rimini, 500 milioni di metri cubi di metano di prima qualità, pozzi già perforati, piattaforma pronta e completa, cui manca solamente il tubo per collegare il metanodotto a terra”.

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