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Il ricatto di Fca all’Italia: “No garanzia? Non investiamo qui”. Così Gualtieri si è arreso

Pubblicato il 19/05/2020 16:19

Sulla vicenda Fca c’è da chiarire molti punti. Anche se ormai è pressoché evidente a tutti che l’ex Fiat sta facendo il solito gioco. Carlo Di Foggia su Il Fatto Quotidiano ha raccontato la versione (finora inedita) del Tesoro, il qualche ha dovuto chinare il capo agli Agnelli/Elkann e assecondare il prestito. “Dopo giorni di polemiche – si legge nell’articolo – al Tesoro la frase se la lasciano sfuggire: ‘Il rischio era di perdere del tutto Fiat, fornire l’alibi per un ridimensionamento degli impianti e l’addio agli investimenti promessi’. Riassume il senso di un’operazione che appare un regalo al colosso con sede legale in Olanda e fiscale nel Regno Unito e alla olandese Exor, cassaforte degli Agnelli, ma che al dicastero guidato da Roberto Gualtieri difendono con forza, definendola una, per così dire, scelta di politica industriale”.

L’unica a disposizione, a quanto pare, di fronte a uno scenario drammatico, vista la tappa finale: “Fra 8 mesi ci sarà la fusione con Peugeot, il punto è far restare in Italia almeno quel che ora c’è, vista anche la crisi enorme che attraverserà il settore”. Insomma, sfruttare la garanzia pubblica sui debiti come arma, l’unica, in un sistema – il mercato unico europeo- che lasciagli Stati senza munizioni per evitare fuga all’estero e delocalizzazioni. Ricorda Di Foggia: “Fca Italia, cioè Fiat-Chrysler, chiederà alla pubblica Sace – come previsto dal “decreto Liquidità”, previa autorizzazione del Tesoro – la garanzia statale sull’80% di un credito da 6,3 miliardi erogato da Intesa Sanpaolo da usare per le attività italiane. Così risparmierà centinaia di milioni sui costi di finanziamento”.

La trattativa con Fca va avanti da settimane. Solo ieri il colosso ha girato a Intesa la richiesta formale di garanzia, che a sua volta la banca girerà a Sace. “È una somma ingente e per autorizzarla servirà un decreto del ministro, che è già pronto, negoziato da settimane con gli uomini Fca, insieme a giuristi e tecnici del ministero dello Sviluppo guidato dal 5 Stelle Stefano Patuanelli. È su quel testo che al Tesoro insistono per spiegare il senso di un provvedimento, il decreto Liquidità, che sembrava scritto fin dall’inizio per la fu Fiat (balzata in Borsa dell’8% il giorno dell’approvazione). Gualtieri in serata assicura che nel decreto ministeriale sono previsti almeno tre impegni stringenti, pena la perdita della garanzia”. Negli anni è sempre stato così con Fiat, salvo poi non vedere realizzati tutti i risultati.

Il primo, che a cascata si tira dietro gli altri, è “l’impegno a fare gli investimenti promessi nel piano industriale: 5 miliardi annunciati a novembre 2018 e mai davvero partiti, l’ultimo di una serie di annunci dell’ex Lingotto, già ai tempi di Sergio Marchionne, rimasti lettera morta e a cui nessuno ha mai davvero creduto: oggi, implicitamente, lo ammette anche il Tesoro, dove rivendicano di aver ottenuto un investimento aggiuntivo (alcune centinaia di milioni di euro su uno stabilimento nel Sud). Il secondo impegno è che Fca possa ridiscutere i livelli occupazionali in Italia (dove impiega 55 mila operai nei diversi stabilimenti falcidiati dalla cassa integrazione) solo con l’ok dei sindacati. Il terzo è a non delocalizzare altre produzioni”.

Impegni segnati nel decreto del ministero e che spingono Roberto Gualtieri a svelare quello che realmente c’è dietro: aver in qualche modo inchiodato Fca a una serie di impegni con l’Italia che invece Fca non voleva rispettare, specie dopo l’annuncio della fusione con Psa-Peugeot. “La realtà – riportano alcune fonti al Fatto – è che se ne volevano andare. Solo così possiamo assicurarci che rispettino i patti”. Intanto, nel 2021 Fca potrà staccarsi il dividendo straordinario da 5,5 miliardi – più o meno equivalenti alla liquidità garantita dallo Stato – di cui 1,5 andrà alla Exor degli Agnelli, completamente esentasse per il fisco italiano.

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