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“Draghi ha ragione, però…” Globalizzazione fallita, ora i neoliberisti piangono. Ma ricominciano da capo con il Green

Pubblicato il 17/02/2024 12:28 - Aggiornato il 17/02/2024 12:34

Hanno la faccia come… Difficile scegliere un attacco diverso, con quello che si legge in giro in questi giorni. Sono davvero tempi duri per quelli che “i mercati si autoregolano” e per i giornalisti legati all’economia neoliberista. Ora che anche Mario Draghi, sia pure con qualche distinguo, ha ammesso il fallimento della globalizzazione selvaggia, si sente un gran rumore di unghie che graffiano vetri. Adesso che emerge in tutta la sua chiarezza quello che in molti sapevano già 20 anni fa, e cioè che cedere il controllo della politica alla Grande Finanza e ai mercati e deregolamentare i commerci si sarebbe rivelata una pessima idea, fioccano i distinguo e i tentativi di scaricare la responsabilità su altri. Fra i tentativi più arditi, annoveriamo quello del giornalista britannico Bill Emmot oggi su La Stampa. Emmot è stato direttore della rivista britannica The Economist e si è occupato spesso di faccende italiche. In particolare, era uno dei principali critici di Silvio Berlusconi, da lui giudicato “inadatto a governare”. (continua dopo la foto)

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Oggi Emmot sul quotidiano di Torino ha pubblicato un articolo che sin dall’inizio è tutto un programma. “Così adesso sappiamo che criticare la globalizzazione è elegante e accettabile, perché persino Mario Draghi lo fa”. Un attacco che denota una certa malcelata indignazione nei confronti dell’ex Premier italiano. Perché Emmot di questa globalizzazione è stato uno dei tanti cantori entusiasti. E ora che il castello sta crollando, non riesce a darsi pace. Deve trovare un colpevole. Che per questa gente non è mai chi il castello lo ha costruito sulla sabbia. Non sentirete mai una parola di scuse da loro. E così, la colpa nel pezzo del giornalista britannico diventa prima di Biden e di Trump. E delle loro politiche protezioniste e “illiberali”. A Emmot non sfiora nemmeno l’idea che quelle politiche siano state messe in atto perché gli effetti della globalizzazione stavano distruggendo il tessuto sociale ed economico americano. (continua dopo la foto)

Il giornalista britannico Bill Emmot

Ci ha ricordato un po’ Paolo Mieli, che l’altra sera in Tv, dopo 30 anni di liberismo sfrenato, ha detto che “bisogna smetterla di citare sempre gli economisti socialisti”. E niente, i cantori del Dio Mercato sono nel panico. Per esempio, Emmot ribalta i rapporti fra causa ed effetto in modo quasi incredibile. E arriva a sostenere che la colpa del fallimento della globalizzazione non è della globalizzazione stessa, ma “della crescita delle disparità di reddito e della simultanea insicurezza del posto di lavoro”. Cioè, prima vogliono la concorrenza sfrenata e senza regole dei Paesi dove il costo del lavoro è molto più basso. Vogliono la delocalizzazione delle imprese. Esaltano il “precariato” e il contenimento dei salari. Poi si stupiscono perché una volta che tutte queste cose sono accadute, proprio come volevano loro, le conseguenze sono che il denaro si è accumulato in pochissime mani e che la gente è impoverita e non ha più certezze sociali. (continua dopo la foto)

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Gli economisti neoliberisti sono così. Prima minano il ponte con la dinamite, poi lo fanno esplodere e infine, dopo che il ponte è crollato, danno la colpa al vento. “La dinamite non c’entra, è stato lo spostamento d’aria”. Ma dove Emmot è ancora più sfacciato, nella sua incredibile ricostruzione di decenni di errori e orrori commessi da economia e finanza, è quando cerca di scaricare tutte le colpe sulla politica. Che è una cosa sporca e non conta niente sino a che gli fa comodo. Ma poi, dopo averla “conquistata”, comprata, occupata quasi totalmente e resa inoffensiva, diventa all’improvviso il capro espiatorio di chi il mondo, insieme ai suoi occupanti, se l’è letteralmente divorato. (continua dopo la foto)

Così, con grande sprezzo del ridicolo, oggi ci vengono a dire, come fa Emmot, che la colpa non è loro per aver “minato il ponte” e comprato la politica. La colpa non è loro se hanno voluto un mondo precario e una concorrenza sfrenata e al ribasso fra lavoratori. La colpa non è loro se le multinazionali ormai contano più degli Stati e fanno tutto ciò che vogliono. La colpa è “della politica che si è fatta comprare”. Ora facciamo attenzione. Perché i vecchi alfieri della globalizzazione sono gli stessi che adesso vogliono imporre la Green Economy. Per poi venire a dirci, fra 20 anni, che il fallimento del nuovo progetto non sarà stato colpa loro. “Sono state le termiti assassine”, piagnucoleranno, come faceva John Belushi in The Blues Brothers per giustificarsi di fronte a una fidanzata abbandonata sull’altare. Solo che Belushi era molto meno dannoso e di certo più divertente.

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