CasaPound ha avuto la meglio nella battaglia legale contro Facebook. Il Tribunale civile di Roma ha infatti respinto il reclamo presentato dal social contro l’ordinanza cautelare che ordinava la riattivazione della pagina principale di CasaPound Italia. Come racconta Davide Di Stefano su ilprimatonazionale.it, “oggi dunque sappiamo che quel reclamo è stato respinto e che le disposizioni del giudice Stefania Garrisi sono state confermate. Questo significa che la pagina di CasaPound e il profilo di Davide Di Stefano, difesi dagli avvocati Augusto Sinagra e Guido Colaiacovo, restano attivi. Facebook viene inoltre condannato al pagamento delle spese legali per 12 mila euro”.
Nelle motivazioni dell’ordinanza si conferma la superiorità gerarchica dei principi costituzionali e del diritto italiano rispetto agli “standard della comunità” del gigante social e alla contrattualistica privata. Di Stefano sottolinea che “nel provvedimento del collegio composto dai giudici Claudia Pedrelli, Fausto Basile e Vittorio Carlomagno si parla di ‘impossibilità di riconoscere ad un soggetto privato, quale Facebook Ireland, sulla base di disposizioni negoziali e quindi in virtù della disparità di forza contrattuale, poteri sostanzialmente incidenti sulla libertà di manifestazione del pensiero e di associazione, tali da eccedere i limiti che lo stesso legislatore si è dato nella norma penale'”.
E ancora: “Il giudizio trova conforto nel fatto che, come rilevato nell’ordinanza reclamata, CasaPound è presente apertamente da molti anni nel panorama politico. L’esclusione di CasaPound dalla piattaforma si deve dunque ritenere ingiustificata sotto tutti i profili richiamati da Facebook Ireland. Il periculum in mora si deve considerare sussistente sulla base delle considerazioni svolte nell’ordinanza reclamata, che meritano piena condivisione, sul preminente e rilevante ruolo assunto da Facebook nell’ambito dei social network, e quindi oggettivamente anche per la partecipazione al dibattito politico”.
Non compete dunque a Facebook “la funzione di attribuire in via generale ad una associazione una “patente” di liceità, posto che condizione e limite dell’attività di qualsiasi associazione è il rispetto della legge, la cui verifica è rimessa al controllo giurisdizionale diffuso”. Nell’ordinanza dei giudici del Tribunale civile di Roma si richiamano gli articoli 18 e 21 della Costituzione, sulla libertà di associazione e libertà di pensiero.
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