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“30 euro, ci hanno umiliato”. La moglie di uno dei pescatori sequestrati in Libia racconta lo sdegno

Pubblicato il 12/08/2021 10:12

È come se avessero equiparato il sequestro alla cassa instegrazione. I 18 pescatori che sono stati  rapiti il 1° settembre al largo di Bengasi sono stati liberati dopo più di 100 giorni di detenzione.

“Mio marito è stato sequestrato dalle milizie libiche, è stato rinchiuso in quattro carceri diversi, ha ricevuto delle percosse, senza cibo, in compagnia di topi e scarafaggi. Ha subito violenze psicologiche e fisiche, da cui tuttora ancora non riesce a riprendersi”. Racconta con queste parole Cristina Amabilino l’incubo che -per quanto assurdo e surreale possa sembrare- è stato vissuto dal suo Bernardo e dagli altri marina ed è durato 108 giorni. (Continua dopo la foto)

“Giorni pesanti, soprattutto perché abbiamo chiesto aiuto e non siamo stati aiutati. Il governo nazionale non ci ha trattato bene. E anche quando la vicenda è finita è arrivata un’altra umiliazione”, prosegue Amabilino.

Sapete cosa ha fatto il governo? “Con un decreto ha stanziato 500mila euro a titolo di indennizzo, di cui 400mila destinati alle aziende e 100mila per i pescatori“, si legge tra le righe di collettiva.it. “La ripartizione è stata di 30 euro al giorno per 91 giorni – sottolinea Cristina -. La cifra non mi interessa, non c’è cifra che può ripagare quello che è successo. Ma 91 giorni perché? È come se avessero equiparato il sequestro alla cassa integrazione. Mica che sabato e domenica venivano a casa, o li mandavano in hotel”. Insomma una conclusione (s)degna di questo governo. (Continua dopo la foto)

 Amabilino conclude dicendo: “I nostri pescherecci devono essere tutelati. Nessun essere umano deve rischiare di subire queste torture, specie un lavoratore che esce da casa per portare il pane alla famiglia”.