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Più morti sul lavoro che morti di Covid tra gli under 50. La strage silenziosa

Pubblicato il 25/10/2021 07:49 - Aggiornato il 25/10/2021 09:41

Mettiamo a confronto alcuni dati. Qualcuno, dai banchi del governo, potrebbe gridare ad alta voce che tre-quattro persone muoiono ogni giorno, in media, sul lavoro? Oppure sono troppo impegnati a parlare di vaccini e Green pass? Perché forse è bene far notare che, tra gli under 50, sono morte più persone sul lavoro che col Covid. Quale delle due, allora, è la vera emergenza? Ci sono giornate in cui si sono raggiunti picchi drammatici di sette-otto tragedie in 24 ore. Poi ci sono decine di casi letali, se non centinaia, che sfuggono a conteggi e riepiloghi. Sono i numeri emersi dai rapporti Inail, numeri che certificano che di lavoro e sul lavoro si continua a morire: nelle fabbriche, nei campi e nelle serre, nei cantieri edili, nei magazzini, in mare, su mezzi di trasporto, nelle strutture ospedaliere, per strada. (Continua a leggere dopo la foto)

Ecco dunque che si viene a scoprire che tra gli under 50 sono morte più persone sul lavoro che per il Covid. Nel 2020 si è arrivati a 1.538 denunce di decessi (4,2 al giorno). Nei primi 8 mesi del 2021 abbiamo già un aumento dell’8% e quindi è stimabile che alla fine di questo anno avremo anche più morti rispetto al 2020. E di Covid invece? Al 30 marzo 2021 sono stati registrati 1.188 decessi (1,1%) per Covid tra persone di età inferiore ai 50 ann;, con questo trend si dovrebbe arrivare a fine anno con una cifra prossima ai 1300 decessi, quindi un numero nettamente inferiore rispetto ai morti sul lavoro che, continuando così, supereranno quota 1600. L’Osservatorio dei Diritti che ha ripreso i dati scrive: “Gli ultimi dati parziali e provvisori diffusi dall’Inail (che aggiorna di mese in mese i bollettini nella sezione “open data”) raccontano che da gennaio ad agosto 2021 hanno perso la vita almeno 772 lavoratori e lavoratrici dipendenti, oppure appartenenti a particolari categorie (una media di 3,2 tragedie quotidiane)”. (Continua a leggere dopo la foto)

Durante i turni di servizio e nelle postazioni assegnate sono morte 620 persone (pari all’80,3%), altre 152 (19,7%) sono decedute in itinere (nei tragitti casa-lavoro e viceversa, in spostamenti tra due sedi diverse o per recarsi a pranzo e poi rientrare). “Luigi Viviani, 48 anni, boscaiolo. Salvatore Vetere, 51 anni, manutentore. Giorgia Sergio, 26 anni, addetta alle pulizie, Bujar Hysa, 63 anni, facchino, Jaballah Sabri, 22 anni, operaio tessile, Sergio Colpani, 53 anni, mulettista. E via elencando, fino a riempire pagine e pagine di nomi, visi e storie sbagliate”. (Continua a leggere dopo la foto)

Ma i dati, purtroppo, sono parziali, perché – come spiega all’Osservatorio Silvino Candeloro, della direzione nazionale di Inca Cgil – l’Inail computa le denunce di morte delle lavoratrici e dei lavoratori dipendenti coperti dalla propria assicurazione, dei soggetti assimilati (ad esempio i parasubordinati) e del personale del “Conto Stato” (cioè di amministrazioni centrali, scuole e università statali). Restano fuori gli abusivi e i sommersi, in nero o clandestini, e gli operatori di categorie che non ricadono sotto l’ombrello Inail: forze di polizia e forze armate, vigili del fuoco, liberi professionisti indipendenti, consulenti del lavoro e periti industriali, commercianti titolari di imprese individuali, alcune partite iva, giornalisti, dirigenti e impiegati del settore agricolo, contadini per hobby, amministratori locali, sportivi dilettanti, parte del personale di volo, volontari della protezione civile e infermiere volontarie della Croce rossa”.

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