di Alessio Mannino.
Oltre al danno patito, l’ennesima beffa. Le centinaia di migliaia di risparmiatori truffati continuano e continueranno a vedere con il binocolo la prospettiva del rimborso di un parzialissimo 30% dei quattrini sfumati nel crac delle ex popolari (Etruria, Vicenza, Veneto Banca, Marche ecc). In una nota del ministro Federico D’Incà (M5S), il governo ha dovuto ammettere che in tre mesi, dalla scadenza delle domande di indennizzo lo scorso 18 giugno, soltanto “780 rispetto alle oltre 38 mila” potenziamente risarcibili sono state “convalidate” (nordesteconomia.gelocal.it, 17 settembre). Campa cavallo. Un numero talmente “ristretto”, dovuto a “un basso numero di riunioni” e a non meglio precisate “opinioni differenti” in seno alla Commissione speciale del Mef, che “sarebbe opportuno”, ha sottolineato il titolare dei Rapporti con il Parlamento, “un cambio di strategia da parte di alcuni membri”. In sostanza, l’esecutivo Pd-5 Stelle si fa scudo dietro le “divergenze” dell’organo tecnico “che è, di fatto, indipendente” benché in realtà nominato dal Ministero dell’Economia e Finanze, dicastero che un suo capo ce l’ha e risponde al nome di Roberto Gualtieri (Pd).
Gualtieri tace. Sul suo tavolo giacciono dall’estate una serie di interrogazioni e interpellanze sulla vicenda Fir, una delle quali, a firma Gianluigi Paragone, riguarda il mezzo miliardo che, in un rapporto di marzo del servizio bilancio del Senato, non risultava sul totale di 1,575 milioni del fondo ristori. Un caso “meritevole di chiarimento”, come si leggeva a pagina 52 della relazione, e che ha avuto una mezza spiegazione l’altro giorno su Facebook da parte del sottosegretario del Mef, il grillino Alessio Villarosa: sono “risorse dell’anno 2019 in conto residui” che sono state “trasferite al funzionario delegato Consap” (la concessionaria pubblica che gestisce le pratiche) ricorrendo allo “stanziamento di cassa 2020”. Un’altra mezza l’ha aggiunta D’Incà annunciando che “la Ragioneria generale dello Stato ha dato il via alle procedure per rendere disponibile oltre 1 miliardo di euro, mentre gli ulteriori 500 milioni saranno disponibili nel 2021”. Per arrivare a un chiarimento realmente completo, così come auspicava il Senato, il governo dovrebbe citare in dettaglio i documenti contabili ufficiali. Magari evitando di straparlare sui social di “fake news” quando le notizie non sono gradite.
Ma per capire dove stia il bandolo della matassa, bisogna analizzarne la trama e individuare il nodo. Il miliardo e mezzo del Fir è reperito dai conti dormienti, un tesoro di oltre 200 miliardi custoditi dalle banche che dopo dieci di anni di immobilità passano allo Stato. E’ facile allora immaginare dove possano annidarsi le formidabili resistenze a sbloccare i soldi promessi agli azzerati: nei due fra i principali moloch del vero Potere, quello con la P maiuscola, ovvero sistema bancario e burocrazia statale. E’ lo stesso D’Incà a dirlo a mezza bocca, riguardo quest’ultima. Mentre nessuno osa neppure nominare il primo. Con la gelata economica che si abbatterà sull’Italia nel prossimo futuro, è lecito il sospetto che concedere un gruzzoletto anche “solo” di una miliardata e passa non sia affatto scontato. E infatti, a tutt’oggi non esiste una data nè un’impegnativa su quando saranno rimborsate le vittime dell’azzeramento delle ex popolari. Ma siamo agli sgoccioli della campagna elettorale per le regionali, e qualche parola bisogna pur spenderla. Mentre per erogare gli schei, come si dice in Veneto, beh, per quello invece c’è sempre tempo. Tecnici permettendo, si capisce.