di David Lisetti.
In questi ultimi giorni stiamo assistendo ad un insolito interessamento dei media italiani alle scelte di politica economica fatte dai nostri vicini spagnoli. Se fate una breve ricerca su Google vi renderete conto che le testate nazionali riportano verosimilmente il medesimo messaggio: “Spagna, il governo chiede ai ricchi per dare ai poveri”. Inutile dire che in Italia questa notizia ha avuto un forte impatto sul pubblico, portando molti dei nostri politici ed osservatori a proporre anche in Italia una patrimoniale sulla falsa riga di quella proposta dal duo Sanchez-Iglesias.
Il punto è che la notizia della patrimoniale attuata in Spagna è una mezza verità, o meglio la notizia è stata pesantemente distorta. Non stiamo parlando della notizia della patrimoniale in sé, che è vera, quanto del reale impatto che l’applicazione della tassa avrà sui saldi di finanza pubblica. Come riporta El País, l’aumento delle aliquote sarà «timido» e colpirà solo lo 0,17% della platea dei contribuenti. Lo stesso quotidiano ci fornisce anche una tabella dove viene comparata la variazione percentuale del gettito diviso in macrosettori fiscali.
Come si evince, la variazione della voce IRPF è modesta, specialmente se rapportata alle altre entrate.
Dati alla mano, il maggiore gettito della “micro-patrimoniale” spagnola porterà, l’anno prossimo, nelle casse del governo una somma non superiore a 346 milioni. Se a questo primo intervento sommiamo l’aumento della tassazione sulle plusvalenze aziendali arriviamo alla misera cifra di 1,5 miliardi di euro.
Per darvi l’idea di quanto i media abbiano alterato la reale portata della patrimoniale, dobbiamo rapportare questa misura alla stima delle entrate attese, le quali ammontano a 270 miliardi di euro; ne risulta che il peso della entrate provenienti dalla patrimoniale non supera lo 0,7% sul totale.
In termini quantitativi, quindi, la realtà è diametralmente opposta rispetto a quello che ci è stato proposto dalle varie testate giornalistiche. Ci teniamo a precisare che non si deve essere aprioristicamente contro una manovra patrimoniale (personalmente chi scrive non è contrario a misure qualitative e quantitative simili a quelle spagnole), ma l’errore in questo caso è pensare che tali misure siano determinanti e che possano tirare fuori da condizioni di semipovertà milioni di cittadini italiani.
Il vero cambio di passo, se si vuole effettivamente predisporre un piano di sostegno al reddito, ampio ed efficace, lo si deve fare principalmente attraverso il canale del deficit pubblico.
Le politiche di sostegno ai redditi, che in questa prima fase di crisi pandemica sono state implementate nei paesi occidentali e nel blocco orientale avanzato, si basano su deficit di bilancio supportato da garanzie esplicite da parte delle banche centrali. Prendendo ad esempio il nostro paese, le misure adottate da febbraio ad oggi (“Cura Italia”, DL “Rilancio”, DL “Agosto”, legge di bilancio) sono quasi tutte passate per scostamenti di bilancio in deroga alle normative europee.
Certo, se fossero qui, Elsa Fornero, Cottarelli e Marattin a questo punto avrebbero obbiettato che non ce lo possiamo permettere perché abbiamo un debito troppo alto, ma il debito (secondo i canoni economici ortodossi) era già alto, ben oltre il 100 per cento in rapporto al PIL. Oggi siamo al 170 per cento e per la logica ortodossa dovremmo essere già in default; eppure, paradossalmente, l’outlook dell’Italia, secondo l’agenzia di rating Standard and Poor’s, è addirittura migliorato.
Le motivazioni per cui ciò accade sono state spiegate dalla stessa agenzia di rating e risiedono nella scelta della BCE di garantire incondizionatamente i debiti pubblici dei paesi europei. Gli strumenti per attuare misure emergenziali di sostegno al reddito efficaci e proporzionate ci sono; quello che serve è la volontà politica. Sicuramente in questo contesto riportare informazioni distanti dalla verità non è di certo un aiuto.
Concludo con una doverosa precisazione: può sembrare assurdo che la politica italiana sia così reticente nell’utilizzare gli strumenti che le istituzioni sovranazionali hanno loro concesso, ma la spiegazione razionale è semplicemente che il governo italiano è in una condizione di autodisciplina fiscale in quanto, anche se in questo momento non ci sono vincoli di spesa e di indebitamento, l’abrogazione di tali limiti è solo temporanea e proprio il fatto che nel medio termine sarà costretto a ritornare all’interno degli assurdi parametri europei mette lo stesso governo in una condizione di semi immobilismo normativo che si traduce in un aumento vertiginoso della povertà fra i cittadini italiani. Ma questa non può essere una scusa per non agire: il governo deve fare ciò che serve per evitare che questa seconda ondata della pandemia si trasformi in una catastrofe economica e sociale.