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La vera faccia del Recovery Fund: «Italia faccia le riforme o niente aiuti»

Pubblicato il 24/06/2020 21:28 - Aggiornato il 25/06/2020 11:51

di Niccolò Biondi.

«L’Italia dovrà fare subito le riforme o rischia di perdere gli aiuti europei»: lo ha dichiarato David Sassoli, presidente del Parlamento UE, in un’intervista al Messaggero

Persino di fronte alla crisi economica che si affaccia minacciosa tra pochi mesi, dopo la fine dell’estate, le autorità europee – che in questo caso, come in molti altri, hanno posizioni coincidenti con quelle dei principali partiti italiani – si mantengono arroccate nel rispetto del dogma delle riforme strutturali. 

Non si tratta di nulla di nuovo né di insolito: il meccanismo “aiuti finanziari in cambio di riforme strutturali” è il motore primo della costruzione europea e una costante di tutta la storia dell’integrazione comunitaria. Come scrive Alessandro Somma:

«A ben vedere, la costruzione europea inizia proprio a partire da uno scambio di denaro contro riforme, destinato ad ancorare l’Europa occidentale al mondo capitalista. Fu questo il motivo per cui alla fine degli anni Quaranta venne creata l’Organizzazione per la cooperazione economica europea, poi divenuta, al principio degli anni Sessanta, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). Come sappiamo, essa fu voluta dagli Stati Uniti per coordinare la distribuzione degli aiuti previsti dal Piano Marshall, ma anche e soprattutto per promuovere tra i Paesi partecipanti la costituzione di un’area di libero scambio, fondata innanzitutto sulla circolazione incondizionata di merci e capitali». 

Il meccanismo degli aiuti finanziari in cambio di riforme lo si ritrova in vari momenti dell’integrazione europea, come l’allargamento a sud (Grecia, Spagna, Portogallo) tra fine anni Settanta e inizio anni Ottanta e quello a est dopo il dissolvimento dell’URSS; principio affermato nell’Atto unico europeo (1986) e nei documenti annessi, che rimarcano che i trasferimenti finanziari verso i Paesi membri non rappresentano forme di compensazione e ridistribuzione bensì strumenti di governance per ottenere la convergenza degli impianti istituzionali e delle economie nazionali.

Il “mercato delle riforme” è stato poi istituzionalizzato nei trattati e nei regolamenti europei che disciplinano l’utilizzo dei fondi europei, le modalità della governance europea e i vari meccanismi di salvataggio finanziario degli Stati in difficoltà, come ad esempio il Meccanismo europeo di stabilità (MES) che in base all’articolo 136 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea impone «rigorose condizionalità» ai governi in cambio degli aiuti finanziari. 

Il meccanismo degli aiuti finanziari in cambio di riforme strutturali è uno dei principali strumenti della governance europea e della riforma dei sistemi istituzionali nazionali nella direzione dei principi neoliberali incorporati nei trattati europei: in questa funzione, si tratta dell’altra faccia della struttura istituzionale europea, in cui agli Stati è negata la sovranità finanziaria e la politica monetaria è rimessa nelle mani di una banca centrale indipendente dalla politica democratica e dalle esigenze sociali ed economiche dei popoli europei. 

Da una parte, infatti, gli Stati sono costretti a procacciarsi sui mercati finanziari le risorse di cui hanno bisogno, e sono dunque esposti al costante e sistematico ricatto di una forma di potere impersonale (quella dei mercati) che li porta “spontaneamente”, senza la costrizione esplicita, a varare politiche e a realizzare riforme che migliorano la solvibilità del debito e creano un contesto ideale per le esigenze di liquidità e profitto degli investitori; dall’altra, gli ormai ricorrenti momenti di crisi finanziaria, che in larga parte sono causati proprio dall’indipendenza della BCE e dal fatto che gli Stati non hanno alcuna protezione di fronte ai mercati finanziari, costringono gli Stati a ricorrere agli aiuti finanziari elargiti in cambio dell’impegno a realizzare le riforme strutturali: riduzione dei salari, privatizzazioni e cessioni del patrimonio pubblico, riforme del sistema pensionistico, flessibilizzazione del mercato del lavoro ecc. In poche parole, quel pacchetto di riforme che contenuto nella famosa lettera inviata all’Italia nel 2011 e che è stato applicato nel “salvataggio” della Grecia. 

Il “mercato delle riforme” è un meccanismo profondamente antidemocratico, finalizzato a bypassare la volontà democratica e a imporre delle riforme politiche spacciate per misure “tecniche” neutrali rispetto alle parti sociali e al conflitto distributivo: nel caso delle costituzioni “antifasciste”, come quella italiana, fondate sui principi della democrazia economica, dell’eguaglianza sostanziale e dell’integrazione dei lavoratori nella vita sociale e politica dello Stato, si tratta di un meccanismo politico finalizzato a ristrutturare nel profondo l’architettura istituzionale e i principi stessi su cui si regge l’ordinamento politico nazionale; l’integrazione europea e le riforme strutturali hanno causato uno smantellamento del dettato costituzionale, soprattutto la parte dei principi fondamentali, pur mantenuto intatto nella forma, all’interno di un processo storico in cui l’élite italiana ha sfruttato la scusa del “ce lo chiede l’Europa” per realizzare riforme che non avrebbero mai avuto il consenso della maggioranza della popolazione.

Un vero e proprio capolavoro politico delle forze liberali ed europeiste, che grazie al vincolo esterno e al mercato delle riforme sono riuscite a ristrutturare l’impianto istituzionale italiano, fondato sulla presenza dello Stato nel sistema economico e sulla protezione sociale (come da dettato costituzionale), nella direzione dei principi neoliberali e della logica della concorrenza.