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Caos aliquote IVA per l’asporto

Pubblicato il 31/12/2020 09:30 - Aggiornato il 31/12/2020 10:38

di Paolo Bianchini, Presidente Mio Italia, e di Raniero Albanesi, Coord. Mio Italia Lazio.

Nei giorni scorsi ha fatto notizia una comunicazione dell’Agenzia delle Entrate nella quale quale la stessa si esprimeva con il principio di diritto numero 9 del 22 febbraio 2019 in cui sottolineava le differenze tra cessione e somministrazione arrivando alla conclusione che le attività di asporto di cibi e bevande sono da assimilare ad una cessione e per tanto vanno assoggettate alla relativa aliquota del 22%.

In un momento cosi critico per il settore Ho.Re.Ca. in cui è più che mai viva necessità di avere supporti economici strutturali, questa interpretazione della Agenzie delle Entrate appare come una macabra ironia, ed è semplice capire che l’applicazione di questa interpretazione andrebbe ad erodere una parte importante dei margini economici.

A supporto del settore e a superamento di questo distinguo, arriva la risposta del Sottosegretario Villarosa, il quale rispondendo all’interrogazione parlamentare del deputato Tarantino in merito alla questione, dice chiaramente che ai servizi di asporto possono essere applicate le aliquote ridotte, ed in particolare queste seguono quelle indicate nella tabella specifica .

Quindi a meno di altre fantasiose interpretazioni al servizio di asporto si applica l’aliquota del 10%.

La pronuncia del Sottosegretario Villarosa ci ricollega ad un discorso ancora più importante, quello della possibile riduzione delle aliquote IVA inteso come importante strumento di supporto economico per il settore dato che l’applicazione dell’IVA al 5% permetterebbe alla aziende di disporre di una maggiore liquidità di cassa che si tradurrebbe in una maggiore capacità di spesa potendo cosi assumere, investire ed acquistare per il corrispondente controvalore, che andrebbe in parte a compensare la perdita del gettito IVA.

Secondo Ismea la perdita del settore rispetto al 2019 è di circa il 48% , ossia di 41’000’000’000 € ( in realtà le stime al momento della stesura di queste parole sono ancora più devastanti).
La riduzione dell’IVA darebbe una maggiore liquidità di cassa, che può essere stimata in riferimento al 2020 “soli” 2,5 mld €, ma è anche che questo dato subirebbe un incremento che andrebbe di pari passo con l’aumento dei consumi generati dalla ripresa del mercato.
La lettura degli Art. 98, 99, 101 e 115 della DIRETTIVA 2006/112/CE conferma che nulla osta a che si veda applicata l’aliquota del 5% ai servizi del comparto.
Aggiungiamo queste fondamentali considerazioni:

La Commissione, nella sua comunicazione sulle aliquote IVA diverse dall’aliquota IVA normale presentata al Parlamento europeo e al Consiglio nel 2007, ha concluso che l’applicazione di aliquote ridotte ai servizi prestati localmente non pone reali problemi per il buon funzionamento del mercato interno e può, a determinate condizioni, avere effetti positivi in termini di creazione di occupazione e di lotta contro l’economia sommersa. È dunque opportuno offrire agli Stati membri la possibilità di applicare aliquote IVA ridotte ai servizi ad alta intensità di lavoro che sono oggetto delle disposizioni temporanee applicabili fino al termine del 2010 nonché ai servizi di ristorazione e catering.

Ma il punto più importante risulta essere il punto 4 della direttiva 2009/47/CE del 5 maggio 2009, dove si legge “… La direttiva 2006/112/CE dovrebbe essere ulteriormente modificata per consentire l’applicazione di aliquote ridotte o di un’esenzione, rispettivamente, in un numero limitato di situazioni specifiche per motivi sociali o sanitari”.

La coda di questa crisi sarà lunga e dolorosa, e questo intervento, date le premesse sulla fattibilità e sulla positività dei suoi effetti, rappresenterebbe uno valido strumento che andrebbe a sommarsi agli altri interventi che riteniamo essere necessari.
Qualora questa proposta non fosse accolta non sarà per un problema di vincoli normativi, ma per una chiara e miope volontà del Governo.