All’economia hanno deciso di mandare Roberto Gualtieri, salito agli onori delle cronache in queste ore più per il suo video in cui esegue “Bella ciao” che per il suo curriculum. E allora vale la pena fermarsi un attimo a spulciare, per capire bene chi è che deciderà la nostra politica economica… E già qui si pone un primo problema, perché in realtà Gualtieri è proprio il profilo perfetto di chi esegue politiche economiche e non le fa.
Il suo nome, apprezzato a Bruxelles, è proprio per questo un campanello d’allarme. Insomma, l’Italia tornerà a non decidere nulla del suo destino, ma si farà dettare una linea da seguire. Gualtieri, paladino di un’interpretazione flessibile del Patto di stabilità, è promotore dello scorporo degli investimenti pubblici dal deficit e di un bilancio dell’Eurozona per aiutare i Paesi a mettere in campo politiche di sviluppo e finanziare un’indennità di disoccupazione europea.
Firmatario dei peggiori trattati europei, storico per formazione, sarà il primo non economista a prendere la guida del Tesoro dopo 30 anni di ministri “tecnici” o comunque addetti ai lavori. Una scelta che ha motivazioni chiare: nel decennio passato tra Strasburgo e Bruxelles come europarlamentare Pd ha seguito da vicino i maggiori dossier economici al centro delle trattative tra l’Italia e la Ue.
Dal fiscal compact alla riforma dell’unione monetaria. Gualtieri, ex tesserato della Federazione giovanile comunista italiana, dal 2001 al 2006 membro dalemiano della segreteria romana dei Ds e dal 2008 nella direzione nazionale del Pd, è laureato in Lettere e ha un dottorato in Storia, che insegna da professore associato a La Sapienza.
L’eurodeputato romano ha una conoscenza approfondita delle regole di bilancio europee e una fitta rete di relazioni nelle istituzioni, costruita nel corso di due legislature Ue. L’ultima (2014-2019) l’ha visto presiedere la Commissione per i problemi economici e monetari che ha portato alla creazione del Fondo europeo per gli investimenti strategici, il cosiddetto piano Juncker.
Il ruolo più attivo, comunque, Gualtieri l’ha avuto sul fronte più caldo in vista della legge di Bilancio che il neoministro dovrà preparare entro il 15 ottobre: i paletti europei sui conti pubblici. Nel 2012, da membro insieme a Elmar Brok, Guy Verhofstadt e Daniel Cohn-Bendit del team negoziale del Parlamento europeo per il Fiscal compact, presentò un emendamento al trattato intergovernativo – in quanto tale mai votato dall’emiciclo – che prevedeva l’esclusione parziale degli investimenti pubblici dai parametri di deficit: l’agognata Golden rule.
La proposta fu respinta, ma ne fu accolta un’altra per rendere meno rigido il vincolo del pareggio di bilancio. Gualtieri, con il gruppo dei Socialisti e Democratici, è stato poi tra i sostenitori di un ampliamento dei margini di flessibilità nell’ambito del Patto. Linea che è sfociata a gennaio 2015 nell’approvazione, da parte della Commissione Juncker, di un documento con indicazioni su come “sfruttare al meglio la flessibilità consentita dalle norme”.
È lì che sono state definite le clausole che concedono più spazio di manovra per investimenti, riforme o in caso di eventi straordinari come terremoti e flussi migratori. Poi ampiamente sfruttate dai governi Renzi e Gentiloni.
Gualtieri auspica la trasformazione del Patto di stabilità in un “Patto di sostenibilità e crescita con una Golden rule sugli investimenti”, il potenziamento del bilancio Ue da finanziare con “digital tax, carbon tax e tassa sulle transazioni finanziarie” e un migliore coordinamento delle politiche economiche per evitare “squilibri come l’eccessivo avanzo delle partite correnti che ha oggi la Germania”.
E c’è la speranza negli Eurobond, titoli di debito pubblico sovranazionali che “potrebbero essere acquistati dalla Bce per un programma straordinario di investimenti in capitale umano, ricerca, infrastrutture ed energie rinnovabili”.
Numerosi i punti di contatto con i neo alleati di governo pentastellati anche per quanto riguarda finanza e banche: il nuovo titolare del Tesoro è a favore di una garanzia europea dei depositi, della separazione tra attività finanziarie e commerciali e di norme rigorose per favorire gli investimenti nell’economia reale e di lungo termine rispetto alla speculazione finanziaria.
E ritiene un fiore all’occhiello aver ottenuto, nel negoziato sulle regole bancarie e sullo smaltimento dei crediti deteriorati, il rafforzamento delle misure a sostegno delle pmi.
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