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Rinchiusa nel magazzino perché non vaccinata. Finalmente giustizia per la chirurga demansionata

Pubblicato il 29/08/2022 19:40

Una storia che ha dell’assurdo. A denunciare l’indecorosa situazione ci ha pensato l’ufficio legale dell’Associazione Avvocatura Degli Infermieri (A.A.D.I.), che serve anche l’AADOSS cioè il Sindacato gemello creato per aiutare chi non è infermiere a far valere i propri diritti. «Soprattutto in questa era di fanatismo vaccinocratico, siamo intervenuti per assistere una chirurga di Siena, al termine della sua lunga carriera, che era stata relegata in un magazzino, con tanto di scatoloni e via vai di operatori che entravano ripetutamente per prelevare i kit contenuti nei contenitori, strappata dalla sala operatoria perché non vaccinata», riferisce il sindacato in una nota divulgata attraverso il suo sito web.
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L’azienda aveva previsto lo svolgimento di alcune attività amministrative mediche attraverso il provvedimento emarginativo, ma alla fine la chirurga è stata rinchiusa in magazzino e lasciata davanti un catasto di scatoloni, senza poter svolgere alcun lavoro, senza poter fare nulla. Sebbene il medico competente avesse ravvisato l’idoneità allo svolgimento della mansione di Dirigente Medico nel Reparto Chirurgia Generale dell’ospedale, i superiori della dottoressa devono averla pensata in maniera differente. Una non vaccinata non meritava tanto riguardo, bensì andava isolata come una lebbrosa.
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L’AADOSS ha basato la difesa posta in essere rispetto alla posizione della chirurga rifacendosi alla corretta interpretazione dell’art. 4, co. 2 del D.L. 1° aprile 2021 n. 44 e precisamente che gli esonerati possono essere adibiti a mansioni “anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2”. «Pur eccependo l’illogicità e l’eccessività di tale norma – scrive il sindacato – considerato che la dottoressa è immunizzata contro il Covid-19, se non meglio dei vaccinati, è oramai scientificamente e incontestabilmente consolidato che anche i vaccinati infettano esattamente come i non vaccinati e che i vaccinati, maggiormente protetti dal vaccino rispetto ai non vaccinati, rischierebbero meno la vita in caso di infezione rispetto ai non vaccinati (per cui non si comprende per quale motivo sarebbe la ricorrente non vaccinata a diffondere il virus ponendo in pericolo i vaccinati anche se sono superprotetti e che, quindi, è la ricorrente che dovrebbe essere protetta dai vaccinati e non viceversa), quello che qui rileva è la locuzione legislativa utilizzata al co. 7 e cioè che gli esonerati possono anche essere assegnati a mansioni diverse, non che lo debbano esserlo per forza».
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Ebbene, visto il giudizio positivo del medico competente sulla compatibilità delle mansioni di chirurgo optando per la piena idoneità (idoneità che, si badi bene, non è stata contestata dal datore di lavoro), la dirigenza della struttura avrebbe anche potuto inviare la ricorrente, ovvero la chirurga, alla Commissione Medica Superiore oppure ricorrere allo SPRESAL avverso il giudizio (servizio di medicina del lavoro superiore a quello aziendale). In tal caso, «Naturalmente, la dottoressa, indosserà tutti i dispositivi di sicurezza idonei ad evitare la diffusione da SARS-CoV-2, esattamente come i colleghi vaccinati che infettano e si ammalano come i non vaccinati (se non di più)», sottolinea il sindacato. Invece tutto questo non è stato fatto, benché il giudizio del medico competente sia un parere vincolante per il datore di lavoro, perché deve essere letto in chiave tecnica ai fini dell’applicazione dell’art. 2087 C.C. e, quindi, in funzione della tutela della salute del dipendente.
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Il sindacato ha poi evidenziato come tutto ciò si traduca in una protezione e salvaguardia della professionalità, come tutelata dal nostro ordinamento, acquisita nel tempo come patrimonio del lavoratore che riverbera a vantaggio del datore di lavoro che si arricchisce delle competenze e dell’esperienza del prestatore di lavoro. Dunque, si può facilmente evincere come la lesione alla professionalità non si traduca soltanto nel demansionamento, ma anche nell’inattività. Nel caso specifico, ignorando il giudizio della medicina del lavoro, il datore di lavoro si è arrogato il potere di comprimere la professionalità della ricorrente, non solo privandola della sua funzione chirurgica ed assegnandole, sulla carta, mansioni amministrative ma, di fatto, l’ha lasciata chiusa in un magazzino, mortificandola, senza fare niente. A tutti gli effetti, le mansioni amministrative che le avevano assegnato non sono mai state svolte.
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Una storia di abuso arbitrario quella della chirurga, che comunque è riuscita a riottenere il suo ruolo grazie all’assistenza del sindacato, che in ben 27 pagine di sostenuta logica giuridica di alto livello argomentativo, ha fatto sì che il Tribunale del Lavoro di Pisa, con Ordinanza cautelare del 20 agosto 2022 n. 382-1, accogliesse in toto il ricorso presentato.

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