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Il Tesoro progetta Btp in dollari: fermatelo!

Pubblicato il 06/08/2019 15:48
di Emanuele Oggioni 

Il Tesoro di Tria vuole tornare emettere titoli di stato in dollari americani ed in altre valute diverse dall’Euro, come lo yen giapponese, per “diversificare la base degli investitori”.  Che la proposta arrivi da un ministro di un Governo “nazionalista” e “populista” sembra una barzelletta. Ce lo saremmo aspettato da quei liberisti del PD! In primo luogo ricordiamo un concetto semplice e chiaro: l’Italia già emette tutto il proprio debito in Euro, quindi in una valuta di cui non può controllare la quantità emessa.

Il rischio è pertanto già elevato nella situazione attuale. Se in più aggiungiamo il rischio di cambio con le altre valute mondiali… Indebitarsi in moneta estera è sempre un rischio: quasi tutte le crisi finanziarie degli Stati in giro per il mondo hanno avuto come causa l’eccessiva emissione di debito in una valuta che non potevano emettere tramite la loro banca centrale.

Per definizione uno Stato che emette la propria valuta e che si indebita solo con quella non può mai fallire, poiché ha la piena sovranità monetaria. Per questo il Giappone, con il suo 240% del debito/PIL ha tassi a zero da decenni senza creare inflazione né turbolenze finanziarie. Altri Stati che sono andati in crisi pur emettendo la propria moneta, come Turchia più di recente (che peraltro aveva un rapporto debito/PIL di circa il 30% pre crisi, quindi bassissimo) e poi Argentina o Islanda, hanno sbagliato politica economica.

Tra le varie cause quella ricorrente è l’eccessivo indebitamento in valuta estera a causa degli alti deficit commerciali (si importa molto di più di quello che si esporta, indebitandosi, appunto, in valuta estera).

La storia insegna che il rischio di svalutazione è alto: chi si ricorda delle famiglie italiane che si erano indebitate in valuta estera, es contraendo dei mutui casa in ECU invece che in Lire italiane? Più di recente è la vicenda dei debiti delle famiglie ungheresi denominate in Franchi svizzeri. Non è finita bene… Indebitarsi in valuta estera è una speculazione.

Le coperture dal rischio di cambio costano e sono un ulteriore onere per lo Stato, ossia per noi, ed un regalo inutile alle banche. Infatti aprirebbero la strada a nuove operazioni in derivati. “Questi ultimi accordi di collateralizzazione avranno per oggetto in primis i contratti derivati finalizzati alla copertura di eventuali nuove emissioni in valuta estera”, recita il documento.

Quindi si potranno concludere a valori non troppo elevati anche i “cross currency swap”, superando il principale ostacolo che finora aveva bloccato le emissioni in valuta, ovvero l’alto costo di protezione dal rischio di cambio (fonte: MF). Ma come, ancora derivati? Dopo il buco di miliardi di euro, peraltro insabbiato dai media e dai politici della casta

I “derivati di Stato” sono solo una mangiatoia per le banche, visti i disastri multi miliardari (in euro!) causati dall’incompetenza dei politici italiani e dei “tecnici” da loro nominati, visto che dall’ex capo della direzione del debito pubblico Maria Cannata agli ex dg del Tesoro Domenico Siniscalco, Vittorio Grilli (poi ministri dell’Economia) e Vincenzo La Via sono stati tutti assolti dall’accusa di danno erariale per “difetto di giurisdizione”.

Torniamo all’intenzione iniziale di questa “diversificazione della base degli investitori”: non serve, visto che secondo uno studio di Prometeia del 2018 già l’80% del debito pubblico italiano è in mano al “mercato/operatori privati” (la percentuale di gran lunga più alta rispetto a Spagna, Irlanda, Portogallo e Grecia) e che questo “implica una maggiore dipendenza dagli investitori e, quindi, un maggior rischio di rifinanziamento”. Il resto è in mano alla BCE e ad “altri operatori”.

Affinando questo dato con l’analisi del think-thank Bruegel, si conferma che i residenti in Italia (dai privati alle banche, assicurazioni, fondi pensione, fondi comuni e gestioni patrimoniali) detengono oltre il 60% del debito pubblico italiano. E in Giappone? Circa il 90%!

Suggerisco di pensare a come elevare la percentuale di titoli di stato detenuta dai risparmiatori italiani… evitando di alzare le tasse da capital gain sugli stessi!

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