E’ diventato un vero e proprio caso quello Il caso sul treno «Italo 8160» da Reggio Calabria a Milano. La lite con il personale ferroviario e la polizia («Non scendo»), poi la denuncia per interruzione di pubblico servizio: mezzo fermo per oltre 20 minuti, rischia un anno di condanna. Il fatto è accaduto il prmo settembre 2020, il primo giorno in cui scattava l’obbligo della certificazione verde per viaggiare.
Siamo sul convoglio alta velocità «Italo 8160», partito da Reggio Calabria con destinazione Milano. Il capotreno controlla una passeggera seduta nella carrozza 7. La donna non ha il green pass: così, alla stazione di Roma, viene allertata la Polizia ferroviaria per contestare la violazione. E fino a qui nulla di inedito, perché nei mesi seguenti la stessa scena si ripeterà più volte tra Milano e il resto d’Italia. La vicenda dell’1 settembre scorso, che emerge in una recente sentenza del Tar pubblicata l’11 novembre, va però molto oltre: la donna, dopo una lunga discussione col personale ferroviario e la polizia, quel giorno viene infatti denunciata per interruzione di pubblico servizio, un reato che prevede fino a un anno di pena.
Il tutto non dura più di una mezz’ora. Anche alla polizia, la donna mostra la foto del referto di un tampone antigenico rapido che ha comprato in farmacia e che ha fatto a casa («in autodiagnostica») il giorno prima. Gli agenti le spiegano che quell’immagine stampata su un foglio di carta, pur se corredata da un’autocertificazione, non contiene alcuna indicazione che possa ricondurre l’esame direttamente alla persona, né una chiara evidenza di quando il tampone sia stato fatto. I poliziotti dicono dunque alla donna che la foto del tampone «fatto in casa» non può sostituire il green pass e la invitano a scendere dal treno perché non può restare a bordo. Aggiungono che verrà multata. Il capotreno invita la signora a prendere i suoi bagagli, altrimenti il treno non può ripartire. La donna però si rifiuta, fa resistenza e in questo modo il convoglio non può ripartire, così il treno accumula almeno venti minuti di ritardo. Alla fine la passeggera si convince e accetta di tirar giù la sua valigia dalla carrozza, ma in seguito, quando il treno è già ripartito, oltre alla sanzione amministrativa relativa al green pass, i poliziotti le consegnano anche i verbali di identificazione ed elezione di domicilio perché il suo comportamento è sconfinato in ambito penale, con la contestazione del reato per il ritardo che ha provocato al treno.
Nei giorni successivi la donna con i suoi legali presenta un corposo ricorso al Tar per contestare sia la sanzione, sia nel complesso l’impianto della legge perché, secondo la sua tesi, sarebbe illegittima «sotto un profilo costituzionale» e in contrasto con regolamenti e trattati europei. Il Tribunale amministrativo per il momento ha chiuso la questione sostenendo che la sanzione va contestata di fronte al giudice ordinario e che la «compatibilità costituzionale» non può essere portata di fronte al Tar «in sede cautelare».