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Beffata la rivista scientifica! Ecco come funziona il marchio di “scientificità” e perché non c’è da fidarsi

Pubblicato il 18/03/2024 11:49 - Aggiornato il 18/03/2024 11:50

Ha quasi dell’incredibile “l’incidente” occorso ai redattori di una nota rivista scientifica e medica olandese. Surfaces and Interfaces, questo il nome della pubblicazione, ha messo in pagina un articolo scritto da ricercatori cinesi. O meglio, almeno in parte, dall’Intelligenza Artificiale ChatGpt. L’inciampo è reso ancora più grave dal fatto che i ricercatori non avevano fatto poi molto per nascondere l’utilizzo della notissima App. Tanto che nella frase di introduzione dell’articolo si legge: “Certo. Ecco una possibile introduzione per il tuo argomento”. Cioè l’inequivocabile “marchio” di ChatGpt quando qualcuno la utilizza. Qualsiasi professore di scuola, se un alunno avesse presentato un testo con questa frase introduttiva, lo avrebbe smascherato senza nemmeno leggere il resto. Ma i redattori di Surfaces and Interfaces, invece, non se ne sono accorti. Tanto che la stessa rivista ha dichiarato di “stare indagando per capire cos’è successo”. (continua dopo la foto)

L’utilizzo di ChatGtp non implica che l’introduzione fosse necessariamente errata. Ma rappresenta un esempio lampante della superficialità con la quale, a volte, chi dovrebbe proteggere la nostra salute o controllare la veridicità di nuovi strumenti scientifici pubblica testi senza le opportune verifiche. Prima di tutto dal punto di vista delle procedure. Perché c’è una regola che i ricercatori devono rispettare nel momento in cui chiedono che una rivista scientifica prenda in considerazione il loro testo: cioè, indicare se nella redazione del pezzo sono stati utilizzati strumenti di intelligenza artificiale. Il che permette ai revisori di effettuare una puntuale peer review, cioè gli adeguati controlli del caso. Il fatto che non si siano accorti di nulla, indica la scarsa attenzione con cui questi controlli a volte vengono effettuati. E mette anche in evidenza le pressioni a cui sono sottoposti i ricercatori, costretti a pubblicare molti articoli all’anno. (continua dopo la foto)

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L’articolo in questione, dal titolo “La struttura a rete porosa tridimensionale del separatore metallo-organico a base di Cu – cellulosa aramidica migliora le prestazioni elettrochimiche delle batterie con anodico metallico al litio”, era stato redatto da Zhang et al. ed era il frutto del lavoro di ricercatori e ricercatrici dell’Università di Pechino. Come ha spiegato il divulgatore scientifico Ruggero Rollini, la brutta figura della rivista potrebbe essere dovuta a un fenomeno chiamato “Publish on Perish”: un’espressione che indica il sistema di pressioni, incentivi e disincentivi a cui vengono sottpoposti i ricercatori. E che li obbliga a pubblicare il maggior numero possibile di articoli per ottenere citazioni e migliorare il curriculum. Solo che in questo modo l’accuratezza dei lavori diminuisce, e il tempo da dedicare alla ricerca viene speso in parte per la scrittura. Anche quando non ci sarebbero contenuti adeguati per giustificare la pubblicazione. Se poi viene a mancare il filtro di chi dovrebbe esercitare il controllo, ecco che fidarsi di ciò che viene pubblicato diventa sempre più difficile.

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