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“Se precipiti nella povertà, senza colpa e a causa delle misure di Stato, rimani solo”, la testimonianza di una famiglia disperata

Pubblicato il 09/03/2021 13:45

Nudi e crudi. Dai racconti che vengono riportati sulla Repubblica il concetto che emerge è questo: se precipiti nella povertà, senza colpa e a causa delle misure di Stato, rimani solo. Aumenta spaventosamente la lista di persone che fino a prima dell’inizio della pandemia rientravano nella categoria della normalità, famiglie che certo non navigavano nell’oro, però riuscivano a stare dietro alle spese necessarie e riuscivano a vivere una vita serena. Adesso sono loro che rientrano tra la fila delle persone costretta a rivolgersi altrove per avere aiuto.

“Fino a un anno fa, la nostra è stata una famiglia normale. Semplice, ma in casa il necessario non è mai mancato. Con l’arrivo del primo lockdown, il mondo ci è franato addosso. Una mattina ci siamo svegliati poveri. Il giorno prima, ogni volta che potevamo aiutavamo alcuni amici in difficoltà. Il giorno dopo ci siamo trovati a dover bussare alla porta di una chiesa per dare da mangiare ai nostri figli”, si legge tra le colonne del quotidiano.

Solo a Milano oltre 34 mila le persone nell’ultimo anno non sono più riuscite a tirare avanti: la maggior parte si è rivolta alla Caritas Ambrosiana per avere almeno il letto dove dormire. E se è proprio la capitale del lavoro a livello nazionale ad essere stata colpita è duro immaginare cosa stia succedendo in quei posti laddove le opportunità non erano poi così rigogliose.

F, compagno di M, con una figlia a carico, lavora come cameriere e da aprile -oramai un anno- si ritrova in cassa integrazione: “Per 16 anni qui non sono mai mancato un giorno dal lavoro. Prendevo 1.200 euro al mese: con un affitto da 600 avevo l’orgoglio di farcela. Spero che l’Italia capisca che il dramma della nostra famiglia non è un caso estremo, ma una storia comune. Resistiamo alla paura del contagio, non a vederci privati della dignità”.

Il padre di famiglia chiede che non siano riportati né nomi né foto: “Mi trascino tra il letto e il divano, ucciso dalla vergogna di non avere i soldi per pagare luce e gas…Vicini, parenti e compagni di scuola di mia figlia N. di 9 anni non sanno che siamo stati ridotti a vivere di carità”.

Poi F continua spiegando: “Alla padrona di casa diamo quello che possiamo: l’ultimo mese, facendo i salti mortali, siamo arrivati a 400 euro”.

La situazione è iniziata a precipitare quasi da subito, in aprile con l’inizio del Lockdown: “Negli anni eravamo riusciti a risparmiare duemila euro. Per tre mesi siamo andati avanti con quelli. Quando i soldi sono finiti, siamo entrati nella parrocchia di San Nazzaro e Celso per far mangiare almeno i bambini”.

Chi ha aiutato questa famiglia? Lo Stato? Il Governo? Gualtieri o Conte con le loro poderose potenze di fuoco? È stata forse l’Europa? Che non ha fatto come la maggior parte dei Paesi nel mondo dove hanno usato la loro sovranità monetaria, intervenendo con misure che evitassero alle persone di arrivare a tanto? No, dall’Europa -ci dicono- aspettiamo ancora quei famosi soldi del Recovery, che saranno l’ennesima cifra ridicola e irrisoria. Non solo la quantità sarà insufficiente, ma sarà anche a prestito e andrà ad aggravare ancora di più la condizione di indebitamento in cui versa l’Italia.

Dicevamo, non è stata alcuna istituzione che avesse il dovere di intervenire. F spiega che ad aiutarli è stato “il fondo San Giuseppe della Caritas. Sono 600 euro per tre mesi”. M, compagna di F aggiunge: “Il mio compagno per la vergogna è ridotto a un vegetale. Una volta al mese ritiriamo il pacco alimentare della Caritas. Con mille lavoretti arriviamo a 800 euro al mese. Tolte tutte le spese, ne restano 8 al giorno per mangiare”.

Ai figli cercano di nascondere tutto: “Davanti a loro sorridiamo. Due mesi fa però, dopo che non riuscivamo a pagare le bollette elettriche, ci hanno abbassato il voltaggio e si riusciva a malapena ad accendere la luce di sera. Stavano per tagliare la corrente, non potevamo più usare la lavatrice. La bimba ha chiesto perché lavavamo i vestiti nel lavandino: abbiamo risposto che c’erano problemi di acqua nel quartiere”.

“La banca ha rifiutato la cessione di un quinto dello stipendio perché sono in cassa integrazione. Anche le Poste hanno detto no. La realtà è che se precipiti nella povertà, senza colpa e a causa delle misure di Stato, rimani solo”.

Tra le orribili difficolta vi rientra anche quello di riuscire a mantenere il diritto allo studio della bambina, diritto sul fino del rasoio: “Fino a quando pago la ricarica dello smartphone. N. ha un leggero ritardo e non essere in classe è dura. Il mio cellulare è l’unico strumento che la tiene in contatto con i compagni: piuttosto di spegnerlo, rinuncio a mangiare”.