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“Raddoppiata la bolletta dell’acqua”. Lo scandalo dell’acqua pubblica che arricchisce i privati. Lo scoop

Pubblicato il 17/08/2022 11:40

C’era una volta l’acqua l’acqua pubblica e, nello specifico, l’acqua di Roma. Sin dall’antichità, le immagini degli acquedotti romani rendevano la capitale una sorta di una sorta inno alla gestione idrica. Quella di Roma era un’acqua ottima qualità, a buon mercato e pubblica. Oggi il costo del sistema idrico integrato nella capitale è tra i più alti in Italia, il doppio rispetto a Milano. Acea spa, che si occupa della gestione idrica romana, non è più un ente pubblico da più di vent’anni, dopo la quotazione in borsa e l’apertura all’investimento da parte della multinazionale francese Suez. Un interessante dossier di Roma Today ci racconta come sono andate le cose e perché oggi l’Italia, e nello specifico Roma, versano in queste condizioni.
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Perché il costo dell’acqua è aumentato

Dal 2003, anno di inizio della convenzione con Acea Ato 2 Spa, il costo è aumentato di circa 300 euro su base annua ed include l’utilizzo dell’acqua potabile, la fognatura e la depurazione. In quasi vent’anni è cambiato anche  il sistema di calcolo della tariffa, con uno scatto importante tra il 2013 e il 2014. Ma cosa ha portato a questo notevole rialzo delle tariffe? Tra i motivi principali c’è sicuramente il famigerato “referendum tradito”, che già qualche anno fa aveva espresso la volontà popolare rispetto a questo tema. Curioso come nelle ultime settimane, il governo caduto da Mario Draghi, cosiddetto “dei migliori”, abbia deciso di dare l’ultimo colpo di coda finendo il lavoro di privatizzazione già delegittimato nel 2011 dagli italiani.
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Il referendum tradito

Proprio nel 2011, infatti, si svolsero quattro referendum. I primi due quesiti riguardavano il Sistema idrico integrato (il terzo era sul nucleare, il quarto sul legittimo impedimento), che ottennero il quorum del 54% con il 94% dei sì, pari a 27 milioni di voti. Il primo chiedeva l’abrogazione dell’articolo 23 bis del decreto legge del governo Berlusconi sui “Servizi pubblici locali di rilevanza economica”, norma che sostanzialmente obbligava i comuni a cedere alle società private la gestione del Sistema idrico integrato. Il secondo quesito – il più temuto dai gestori – proponeva la cancellazione del sistema di “determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito”. In sostanza il profitto garantito sul servizio idrico. Il sistema della tariffa in vigore all’epoca prevedeva un ricarico automatico del 7% sugli investimenti realizzati e, dunque, sulla tariffa per l’acqua e la depurazione delle fognature.
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Ovviamente, poco dopo la vittoria schiacciante dei “Sì”, in Acea scatta l’allarme rosso. Il sistema della remunerazione garantita aveva infatti permesso un flusso di milioni di euro nella casse della società partecipata dai privati. Il sistema era semplice e collaudato: al momento della concessione la holding romana aveva valutato i propri asset 894,34 milioni di euro. Questa era la base di calcolo per il 7%, applicato in automatico anno dopo anno. Quel valore sarebbe dovuto essere confermato da una perizia indipendente, che però non fu mai realizzata. Il 24 giugno 2011, dieci giorni dopo il risultato del referendum, la direzione di Acea riceve uno studio che aveva commissionato all’avvocato Giulio Napolitano, figlio dell’allora presidente della Repubblica, ordinario di diritto pubblico alla terza università di Roma: “Come possiamo reagire al voto popolare?”, questo era il succo del quesito.
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Il cavillo trovato da Napolitano

Come dicevamo, il punto cardine della questione riguardava l’abrogazione della remunerazione garantita, che era il vero cuore del Referendum sull’acqua. Ebbene, nel parere vengono poste le basi per le modifiche successive delle norme abrogate, che paradossalmente porteranno ad un aumento del profitto per Acea e per molti altri gestori in Italia. Contemporaneamente però aumenteranno anche le bollette dei cittadini. Fu proprio Giulio Napolitano ad analizzare il risultato del Referendum, richiamando il Decreto legge 70/2011 che il governo di Silvio Berlusconi aveva varato il 13 maggio del 2011, un mese prima della consultazione elettorale. La norma aveva istituito un’agenzia centrale di regolazione dei servizi pubblici (la AEEGSI, oggi divenuta ARERA), assegnandole il compito di regolare le tariffe, sostituendo di fatto le Autorità d’ambito, ovvero i comuni, che fino a quel momento erano la controparte dei gestori.
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Giulio Napolitano

L’analisi del docente di Roma 3 evidenziava che “l’abrogazione referendaria è destinata ad incidere direttamente sull’esercizio di un potere amministrativo, quello di determinazione della tariffa idrica, di cui nel frattempo sono sono mutati sia la competenza sia i criteri regolatori”. In altre parole secondo Giulio Napolitano i referendum avevano colpito la possibilità per gli Ato di applicare il ricavo garantito, ma nel frattempo la competenza era passata all’Agenzia, ente che non era destinataria del voto popolare. In buona sostanza il ragionamento che fu fatto è stato “Il voto abroga il profitto? Cambiamo la formula”.
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Il nuovo sistema tariffario

Fu allora che l’agenzia regolatoria si mise al lavoro per elaborare un nuovo sistema tariffario, estremamente complesso, avente per l’obbiettivo l’equilibrio finanziario del gestore. In altre parole il perno del calcolo del costo del Servizio idrico integrato per i cittadini è la salvaguardia dei bilanci della società incaricata della gestione, profitto incluso. I cittadini? Vacche da mungere. La tariffa viene poi elaborata sulla base di su un Piano economico finanziario presentato da Acea alla conferenza dei sindaci, che – vista la norma del 2011 di Berlusconi – non può far altro che acquisire ed applicare la complessa formula finanziaria elaborata da Arera.
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L’agenzia predispone anche le norme che regolamentano i rapporti con l’utenza, imponendo la linea dura per chi non riesce a pagare le bollette: l’acqua va staccata, costi quel che costi. Il voto popolare? Ormai aggirato ed archiviato in nome del profitto di pochi. Acea spa fu dunque la società che aprì la strada al nuovo sistema di regolamentazione della gestione attraverso l’Agenzia, utilizzando lo studio dell’avvocato Napolitano. Ironia della sorte, dopo il Referendum che avrebbe dovuto tutelare i cittadini, inizia una vera e propria epoca d’oro per i gestori, a scapito degli stessi cittadini che avevano votato l’esatto contrario. L’ultimo Piano economico finanziario, presentato alla conferenza dei sindaci dell’Ato 2 (area che comprende la provincia di Roma) dà la misura del clamoroso giro d’affari legato all’acqua. Alla voce “utili riportate a nuovo” ci sono molti zeri. Il PEF calcola questo parametro anche in prospettiva, fino all’ultimo anno della convenzione, il 2032.
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La cifra si basa su una previsione di utile che, partendo dai 70 milioni di euro per il 2020, arriverà a fine concessione a 97,5 milioni di euro. Alla fine Acea Ato 2 (la società del gruppo Acea che gestisce l’acqua nella provincia di Roma) – secondo il PEF – avrà accumulato nel 2032 1,745 miliardi di euro di patrimonio netto, costituito in gran parte da utili. Ma se crescono gli utili dei gestori, nel frattempo, cresce anche il costo dell’acqua per i cittadini. Considerando una famiglia di tre persone, con un consumo medio di 252 metri cubi all’anno, a Roma nel 2022 la bolletta raggiunge i 500 euro. Più del doppio rispetto a Milano, dove per gli stessi consumi una famiglia paga 230 euro. Un costo destinato a crescere ancora.
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L’acqua pubblica accessibile è un lontano ricordo

L’utile che abbiamo indicato in precedenza deriva quasi interamente dalla tariffa applicata nella provincia di Roma, con un risultato di esercizio, che sarebbe il ricavo al netto dei costi operativi e delle imposte, che oggi si assesta attorno ai 70 milioni di euro all’anno, con una previsione di crescita a due cifre, fino ad arrivare a superare i 97 milioni di euro annui nel 2032. Per arrivare a queste cifre la tariffa dovrà necessariamente aumentare ulteriormente. Si tratta di un destino già scritto. Il nuovo sistema tariffario di ARERA, introdotto nel 2014, prevede l’applicazione di un moltiplicatore per la tariffa, il cosiddetto parametro Theta. Nel 2020 è stato applicato un fattore 1,020, nel 2021 1,078 e quest’anno 1,139. Questo valore crescerà ulteriormente, secondo il Piano economico finanziario presentato da Acea Ato 2 spa ed approvato dalla conferenza dei sindaci, arrivando a 1,505 nel 2032. In buona sostanza, l’acqua pubblica con un prezzo accessibile per tutti è ormai un lontano ricordo

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