Una nuova epoca nella quale la politica delle grandi potenze è tornata a comandare sull’economia, ridisegnando le industrie globali. E che porterà le imprese a cambiare, per necessità, la propria logica. Questa l’analisi fatta da Mark Leonard, direttore del think tank European Council on Foreign Relation, che in un’intervista rilasciata a Repubblica ha spiegato: “Un mondo connesso non è automaticamente un mondo più sicuro. Le connessioni possono generare empatia ma portano a polarizzazione, autoisolamento, percezione che gli eventi siano fuori dal proprio controllo. Creano quindi nuove ragioni di conflitto e allo stesso tempo nuovi modi per colpire. Quello che ci teneva insieme diventa un’arma: forniture di energia o migranti usati per ricattare, cyberattacchi, interferenze nelle elezioni. Il mondo connesso è un mondo più insicuro”. (Continua a leggere dopo la foto)
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La politica, oggi, è tornata a comandare sull’economia: “Abbiamo pensato per anni di essere alla fine della storia, dove a comandare era la logica dei capitali. Ora, di fronte a questa nuova percezione di vulnerabilità esistenziale, la politica torna a determinare tutto e porta a un nuovo modello di relazioni economiche: gli Usa vogliono disaccoppiarsi dalla Cina, la Cina cerca l’autosufficienza, persino l’Europa parla più di sovranità che di libero mercato”. (Continua a leggere dopo la foto)
Per sottolineare questo cambiamento, Leonard ha parlato dell’esempio della Germania: “Dal suo punto di vista economico non aveva senso liberarsi del gas russo, né per gli Usa lo ha separarsi dalla Cina. Eppure sta succedendo, prima durante la pandemia e poi con la guerra in Ucraina. La nuova idea è spostarsi dalla produzione ‘just in time’ a quella ‘just in case’, ‘nel caso in cui’, costruendo ridondanze per poter resistere a choc inattesi”. (Continua a leggere dopo la foto)
Secondo Leonard, la politica moderata e progressista ha ignorato per anni “i dimenticati della globalizzazione. Hanno parlato solo di opportunità, ma i rischi erano già lì. Occorre riconoscere il buono e il cattivo della globalizzazione, bisogna ‘disarmare’ le connessioni: il modo migliore per mantenere i benefici della globalizzazione è un certo grado di separazione, rivedere le forniture energetiche e di materie prime per non essere troppo dipendenti da Russia e Cina”.
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