x

x

Vai al contenuto

“Mi impedirono di indagare sui politici”, le rivelazioni-bomba dell’ex pm Pennisi. Trema il Pd

Pubblicato il 07/03/2023 20:35 - Aggiornato il 07/03/2023 20:36

Emerge una selezione scientifica dei politici da indagare e di quelli da salvare, nelle parole di Roberto Pennisi, oggi in pensione ma per anni pm alla Procura nazionale antimafia. Il riferimento è alla inchiesta Aemilia, che ha portato al maxiprocesso alla ’ndrangheta, alle cui indagini egli parteicpò in prima persona. Prima del tragico naufragio che ha spezzato le vite di decine di migranti, Cutro, paese confinante con Crotone, era già tristemente noto. Da qui ha avuto origine la repentina e violenta ascesa del clan Grande Aracri, che, per via di una diffusa emigrazione cutrese verso Reggio Emilia, Modena e Parma negli scorsi decenni, si è infiltrato nel tessuto economico del territorio emiliano, nonché in quello politico. Precisamente da questa e altre commistioni nacque l’operazione che nel gennaio 2015 portò all’arresto di 160 persone. Roberto Pennisi, tra il 2012 e il 2013 in servizio alla Direzione distrettuale antimafia di Bologna, entrò in rotta di collisione con la procura reggiana. Su il Giornale di oggi leggiamo le sue sconcertanti rivelazioni sull’ex pm del tribunale di Reggio Emilia: “Certi comportamenti del collega Marco Mescolini allora ritenni che fossero dovuti alla sua incapacità di comprendere. Col senno di poi mi sono dato spiegazioni diverse”. Veniamo, dunque, alle spiegazioni diverse. Agli atti c’era una informativa dei servizi segreti, “che ci era stata trasmessa dai carabinieri”. Spunti investigativi allettanti, con tanto di nomi e cognomi. “Se si fosse deciso, come io chiedevo, di aprire uno stralcio d’inchiesta sui rapporti tra ‘ndrangheta e politica, quelli sarebbero stati i primi nomi su cui avrei iniziato a indagare”. L’informativa dei servizi è agli atti del processo e i nomi cui fa riferimento Pennisi sono quelli di Maria Sergio, capo del servizio pianificazione del comune di Reggio Emilia, nonché consorte dell’allora capogruppo in consiglio comunale di Reggio Emilia, Luca Vecchi, che oggi è il sindaco. (Continua a leggere dopo la foto)
>>> “Lei Giletti sta rischiando parecchio, a 360 gradi”. Le parole di Baiardo gelano lo studio (VIDEO)

pennisi procura non indagò politici

Il Partito democratico, come è noto, ha nell’Emilia “rossa” la sua più importante roccaforte, e il sospetto che sia stato volutamente tutelato dal collega Roberto Pennisi lo esprime nella relazione inviata alla Procura generale della Cassazione nel procedimento pre-disciplinare contro lo stesso Mescolini, a causa delle chat intercorse con l’ex giudice Palamara. La relazione è rimasta a lungo nei cassetti del Ministero di via Arenula e il senatore Maurizio Gasparri chiede da tempo di potere visionarla. C’è di più: Pennisi ricorda un altro importante indizio che si è deliberatamente scelto di non approfondire. Proprio all’attuale sindaco di Reggio Emilia venne inviata una lettera dal carcere, firmata da uno degli arrestati del blitz Aemilia, il cutrese Pasquale Brescia, il quale rimproverava l’attuale sindaco per non avere difeso a sufficienza i cutresi indagati, a differenza del suo predecessore Graziano Delrio, primo citatdino di Reggio Emilia dal 2004 al 2013. Anni in cui evidentemente non si è accorto di nulla. “Il sottoscritto e altri imputati facemmo campagna in suo favore, come facemmo per Delrio”, scrive Brescia a Vecchi. Un fortissimo atto di accusa, quello di Pennisi, di accusa esplicito su come sia stata condotta l’indagine emiliana: colpendo due politici di centrodestra (poi prosciolti) e insabbiando tutte le tracce che portavano al Pd. “Andava stralciata l’indagine, approfondita la posizione di altri indagati o indagabili per concorso esterno in associazione mafiosa, invece non si fece nulla”, lamenta l’ex magistrato. (Continua a leggere dopo la foto)

pennisi procura non indagò politici

Giovanni Paolo Bernini, ex assessore a Parma, in quota Forza Italia, poi prosciolto dall’accusa di voto di scambio, appena ieri ha presentato un esposto-denuncia al ministero della Giustizia, in merito alle indagini condotte (e a quelle non condotte) dal pm Mescolini.

Potrebbe interessarti anche: Platinette choc in un’intervista: “L’omosessualità è un business” (ilparagone.it)