Cacciatori di bufale o “bufalari”? Censori o censurati? No, non sono domande retoriche perché il tema è troppo delicato, troppo importante. Parliamo di autorevolezza dell’informazione online, della sua credibilità, di libertà.
Tutto parte dalla pandemia e dalla presunta diffusione di fake news a proposito dell’origine del virus che ha messo in ginocchio il pianeta per quasi due anni. Di qui l’etichetta di “propalatori di notizie false” anche a editori indipendenti che operano con serietà da anni, come testimoniato da milioni di lettori ogni mese. Peccato che – dopo due anni di caccia alle streghe – anche l’autorevolissimo New York Times ora scriva che “Entrambi i partiti politici statunitensi sono ora aperti all’idea che il Covid potrebbe provenire da un laboratorio in Cina”.
Tutto ciò -una diffamazione su larga scala di fonti d’informazione indipendenti – è stato reso possibile dall’emergere di nuovi censori. Hanno un vestito nuovo e ingannevole, sono pronti a bollare come propalatori di notizie false e cospirazioni chiunque abbia cercato di affrontare lo spinoso argomento con un lavoro di ricerca e analisi sulle fonti, che ha portato a conclusioni diverse dalla “vulgata” di massa..
Il nuovo censore si chiama NewsGuard e ne abbiamo già parlato. Si tratta di una realtà che ha fondato il suo business su un’applicazione web per la valutazione della qualità dell’informazione online. Molti di voi che non la conoscono si chiederanno: “Che c’è di strano?” Teoricamente nulla, se si trattasse di un’istituzione “terza” rispetto alle parti in causa (lettori, editori) e riconosciuta per applicare regole universalmente condivise.
Ma così non è, perché NewsGuard è un’azienda privata, finanziata da privati e non è riconosciuta da alcuna istituzione internazionale per il ruolo che si è auto-affidata. A quale titolo NewsGuard si erga a paladino della qualità della correttezza dell’informazione globale è chiaro a pochi. Noi abbiamo provato a spiegarlo con un’inchiesta molto approfondita, svelando che NewsGuard, alla faccia dell’indipendenza e terzietà con cui con poca trasparenza si presenta agli utenti, è un’azienda privata che persegue interessi privati vendendo una sua applicazione che “giudica” la qualità dei siti d’informazione sulla base di criteri insindacabili e da lei decisi.
E sempre per restare in tema di trasparenza, NewsGuard ha tra i suoi investitori alcuni personaggi molto noti nel panorama finanziario ed editoriale mondiale, oltre che uno dei maggiori gruppi pubblicitari europei. Chiediamo ancora, a quale titolo si ergono a giudici (o meglio, censori) dell’informazione globale?
Naturalmente NewsGuard ha alleati in tutto il mondo: sono i siti classificati come “affidabili e di qualità” dall’applicazione stessa. In Italia spicca Open, il giornale online fondato da Enrico Mentana che recentemente si è autocelebrato perché messo in testa alla classifica stilata da NewsGuard. I criteri per cui un sito secondo NewsGuard sarebbe affidabile sono descritti ancora nella nostra inchiesta. Peccato che nella realtà Open, come altri, non li rispettino appieno.
Ad affermarlo non siamo certo noi, ma i lettori: chi meglio di loro è in grado di giudicare l’imparzialità di una fonte d’informazione? Leggetevi con attenzione le recensioni che i lettori di internet hanno dedicato su Trustpilot (la piattaforma di recensioni libere più grande al mondo) a NewsGuard e Open. Sono uno spaccato molto reale di quello che sta accadendo oggi al mondo dell’informazione.
Le “accuse” degli utenti sono molto gravi: faziosità, mancata verifica delle fonti, mancato spazio alle repliche. Del resto, se un presunto fact-checker pensa di aver smascherato come propalatore di bufale un premio Pulitzer come Seymour Hersh, perché ha costruito un articoletto con qualche referenza qua e là, dovrebbe essere chiaro a tutti con chi abbiamo a che fare. E di NewsGuard cosa dicono? Che non c’è alcuna trasparenza sull’attività di “censura, che non sia”valutazione” il cui esito è del tutto simile alla censura. Che sono “al soldo dei poteri forti”.
Eppure no, questi come il loro “padrino” NewsGuard, continuano ad affibbiare patenti di inaffidabilità ai loro concorrenti. L’opera diffamatoria, perché di questo si tratta, portata avanti dai presunti paladini della qualità dell’informazione causa perdite economiche. Questo perché moltissimi gestori di advertising non erogano pubblicità sui siti che finiscono in blacklist di NewsGuard (Il Paragone incluso).
Tutto questo accade nel totale silenzio delle istituzioni preposte alla vigilanza del mondo dell’informazione. Ci chiediamo come mai l’Agcom non sia intervenuta per capire almeno come funziona un sistema che va ad interferire con le sue competenze ma è gestito da un’azienda privata. Un’azienda che con le sue azioni non solo distorce pesantemente il mercato, ma mette in pericolo un bene ben più importante: quello della pluralità e della libertà delle fonti d’informazione, in un mondo in cui ne abbiamo sempre più un disperato bisogno.