Una nuova guerra delle Falkland. Una minaccia che è stata sufficiente a incendiare la polveriera del Sudamerica, dove il presidente venezuelano Nicolás Maduro, alle prese con una crisi senza pari, sta cercando di placare il popolo promettendo di restituirgli l’Esequibo, il territorio ricchissimo di petrolio che appartiene alla Guyana. Il dittatore sostiene che l’area gli apparterrebbe e ha indetto un referendum che dovrebbe rappresentare un passo verso l’annessione. Si è trattato per suo stesso dire della “sesta fase per la riconquista della Guyana Esequiba”. (Continua a leggere dopo la foto)
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Nel frattempo si sono consumate una serie di “azioni immediate” che aumentano le possibilità di un conflitto nell’area anche con il coinvolgimento degli Stati Uniti che sostengono la sovranità della Guyana. A metterle in fila una dietro l’altra è stato Paolo Manzo sul Giornale.
Il delfino di Chávez ha innanzitutto ha dato un ultimatum di tre mesi alle compagnie petrolifere straniere già operanti nella regione, Exxon Mobil in primis, affinché se ne vadano, concedendo al contempo le “licenze” alla petrolifera statale PDVSA e alla Corporacion Venezolana de Guayana, un conglomerato metallurgico pubblico venezuelano per lo sfruttamento di petrolio, l’estrazione di gas, oro e diamanti nell’Esequibo. (Continua a leggere dopo la foto)
La risposta della Guyana è stata immediata perché “Maduro è un leader dispotico, e i leader dispotici sono difficili da prevedere”, ha detto il ministro degli Esteri, Hugh Hilton Todd. Per questo, rivela il Giornale, il presidente Mohamed Irfaan Ali ha prima contattato il consiglio di sicurezza dell’ONU che affronterà la crisi a porte chiuse, poi ha chiamato il segretario di Stato Usa, Antony Blinken che ha espresso il “sostegno incondizionato” di Washington alla sovranità del suo Paese.
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