Di Gianluigi Paragone – In aula la premier Giorgia Meloni ha scandito alcuni punti che meritano considerazioni precise. Comincio dalla gestione del Covid. Benissimo la presa d’atto che le compressioni dei diritti e delle libertà messe in pratica da Roberto Speranza, nel governo Conte prima e in quello Draghi poi, non debbano ripetersi, ma adesso che succede? La dichiarazione di principio è nel solco di quel che Fratelli d’Italia proclamava e votava in aula la scorsa legislatura; dico di più: in Senato coi colleghi dell’attuale primo partito producemmo tre mozioni di sfiducia contro Speranza, che però furono respinte anche con il voto contrario di chi oggi sta al governo. Pertanto, vi è da capire se al di là delle dichiarazioni in aula siano previsti a breve scadenza interventi normativi. <Non replicheremo il modello Speranza>, è una affermazione perentoria che però non si sa dove atterri. Pertanto se si vuole compiere una inversione a U rispetto a quel che fece l’allora ministro della Salute è bene muoversi immediatamente, cancellando i brutti pensieri che la nomina dell’ex rettore di Tor Vergata, Orazio Schillaci, legittimamente genera. Le misure da adottare immediatamente – e “immediatamente” significa che già debbono uscire col prossimo consiglio dei ministri – sono il pieno reintegro del personale sanitario e amministrativo sospeso, l’abolizione del Green Pass per accedere ad ospedali e Rsa, l’annullamento delle multe agli over 50 e di tutte le sanzioni applicate nei mesi del lockdown. (Continua dopo la foto)
Nel contempo chiediamo che siano abrogate le norme che ancora prevedono gli obblighi vaccinali e il green pass; che i dati immagazzinati attraverso il qr-code siano resettati; e che venga quanto prima istituita una seria commissione d’inchiesta sulla gestione del periodo pandemico con una indagine senza sconti sui vaccini, dalle condizioni di acquisto alle campagne vaccinali culminate con l’obbligo per categorie professionali e cittadini over 50. Solo queste mosse renderebbero credibile pienamente il passaggio politico del premier in aula. E verrebbero incontro alla petizione che ho appena lanciato su petizioni.italexit.it (presidente Meloni e ministro Schillaci firmate?) Altro punto su cui si chiede discontinuità riguarda le intenzioni mercatiste che Draghi mise sotto la dicitura Concorrenza, a cominciare dallo stop alle aste per i balneari. Idem per la tutela dell’agroalimentare (assolutamente d’accordo con l’idea della sovranità alimentare, la sinistra neoliberista ovviamente non poteva comprendere il senso della battaglia culturale e identitaria) aggredita dal Nutriscore made in Bruxelles, dove si annidano gli interessi di speculatori del food e di Big Pharma. E arriviamo all’ultimo capitolo: gas, Europa e guerra. Sul gas, la nomina dell’ex ministro Cingolani non mi sembra un grande segnale, soprattutto perché viene decodificato all’interno di un prolungato passaggio di consegne, che non ha pari in altri dicasteri. Questa nomina nei fatti significa che il governo Meloni intende proseguire col piano predisposto dal governo precedente, un piano che non sta in piedi nello switch col gas russo. Insistendo con quel piano, il fabbisogno energetico italiano è a rischio, di contro consentirà agli americani di venderci quel gas liquido che da anni cercano di portarci in casa spingendo per i rigassificatori (tralascio la panzana che senza l’impianto di Piombino saremmo nelle secche perché il solo pensarlo offende l’intelligenza media delle persone). Ieri, dalle colonne del Corriere, il premier Zelensky (che nel frattempo ha già chiesto alla Meloni armi di difesa aerea) ha dichiarato che gli italiani <ci ringrazieranno perché vi state liberando dalla dipendenza russa>: un passaggio logico privo di senso, primo perché gli italiani non si sono mai espressi in tal maniera; secondo perché se la Russia chiudesse del tutto i rubinetti a dicembre e magari chiedesse all’Algeria di ridurre l’erogazione (visto che Gazprom è il più grande azionista di minoranza del gestore che ci fornisce quel gas) noi non reggeremmo. Quindi inviterei il governo a non esasperare la situazione e di preoccuparsi a come costruire la pacificazione, per non vedere Erdogan nell’imbarazzante parte del negoziatore vincente. Del resto anche tra i democratici americani è sempre più numeroso il gruppo (guidato dalla rampante Ocasio Cortez) di coloro che chiedono alla Casa Bianca di negoziare con Putin: <E’ ora di cambiare rotta>. Appunto.