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L’usura d’impresa ed il sovraindebitamento. La denuncia del Procuratore nazionale antimafia, Cafiero de Raho

Pubblicato il 17/05/2020 11:36

di Biagio Riccio.

Le sofferenze bancarie e dunque i crediti deteriorati si contano in 180 miliardi di euro. Se si considerano perciò gli indebitati in relazione a questa pandemia, per la indubitabile contrazione del prodotto interno lordo e la conseguenziale riduzione dei consumi, si giunge alla conclusione che il numero aumenterà di gran lunga.

Non tutte le imprese riapriranno e quelle che si ripropongono di farlo, non ottengono linee di credito. Si impongono fondamentali considerazioni:

1-Fondando sul merito creditizio il rating pessimo delle imprese in crisi, gli istituti di credito si riguardano bene dal finanziarle o concedere affidamenti, con la bronzea certezza che la restituzione non avverrà o costringerà l’attivazione di procedure forzose di recupero credito, oltre rendere possibile azioni revocatorie ai danni delle banche.

2- I segnalati dunque alla centrale rischi, sotto la voce sconfinamento o sofferenze, aumenteranno a dismisura e le banche, per i vincoli di Basilea, non potranno finanziare alcunché.

3-Accadrà quanto denunciato dal Procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho nella recente audizione alla commissione Finanze ed Attività Produttive della Camera dei deputati.

Si determina infatti che, in conseguenza dei ritardi dei finanziamenti, si apra uno spazio alle cosche che potranno con usura ottenere la titolarità del capitale sociale delle imprese non ammesse ai circuiti legali del mercato creditizio e costrette a rivolgersi al mercato criminale con nefaste ricadute.

a) Costringono l’usurato, a fronte del prestito ricevuto, a cedere il pacchetto azionario. Sarà nominato dagli usurai, ormai capi dell’impresa, un nuovo amministratore come uomo di paglia, il quale dovrà obbedire ai dettami di chi detiene il capitale sociale.

b) Il prestito non sarà mai restituito e gli usurai di turno diventeranno titolari definitivi dell’impresa.

c) Si realizza un patto commissorio: infatti si diventa proprietari di un’impresa data a garanzia per ottenere una linea di credito, negata dal circuito legale delle banche.

d) L’impresa ha nuovi padroni ed un nuovo assetto amministrativo, ma i capitali, in violazione alla legge anti riciclaggio, sono di dubbia provenienza.

Ma ecco il punto. Apparentemente l’impresa è nuova nel circuito reddituale ed è stata ricapitalizzata, seppure con denaro sporco. Saranno queste imprese, frutto di usura, a mettere le mani sui finanziamenti pubblici dovuti all’epidemia imperante, perché beneficeranno di un nuovo rating con le annotazioni in centrale rischi che saranno cancellate.

Ecco il fenomeno dell’usura di impresa.

In proposito si ricordi quanto aveva scritto un grande Magistrato e studioso del fenomeno, Giorgio Santacroce:“Si rileva come l’intreccio riciclaggio-usura rappresenti un momento di fondamentale importanza all’interno delle organizzazioni criminali per la riconversione del denaro ottenuto con attività illecite e si sottolinea come la concessione di prestiti ad usura consenta alla criminalità di accrescere il proprio potere economico e di stabilire il dominio sul territorio. Tutto ciò è reso possibile dalla condotta al momento poco efficiente delle banche e delle altre istituzioni preposte all’intermediazione finanziaria” (Giorgio Santacroce (in “La Giustizia penale”, n. IV – 1995, Parte Seconda – pp. 246-256).

Ed intanto gli indebitati aumenteranno ancora.