Di Gianluigi Paragone – Si è spinto sempre oltre, nelle missioni più delicate, il generale Vannacci. E con sé ha portato migliaia di uomini e di donne scelti dopo un duro addestramento, le truppe scelte, quelle più operative, quelle più selezionate, quelle più disciplinate. Ha ordinato loro di non disallinearsi e di essere rigorosamente disciplinati al fine di portare a casa la pelle.
Il paradosso del generale Vannacci è che oggi viene punito perché non si è allineato, perché non ha marciato compatto, in fila per tre; ha preferito mettere nero su bianco quel che ha sempre pensato e già espresso senza che nessuno lo espellesse; evidentemente andava bene così, perché dove lo trovi un altro ufficiale così preparato per operazioni complesse? Roberto Vannacci parlava già così anche quando era il generale Vannacci. Ora ha osato traslare su un libro quel che prima stava dentro le caserme e gli alti uffici che ricopriva per merito. A questo punto Vannacci è diventato un problema, intanto perché – sono disposto a scommetterci – ha infranto il caldo invito a stare zitto (<Arriveranno incarichi importanti per te; a Robbè, bisogna aspettare. Lascia perdere ‘sta storia del libro, che te frega>) e poi perché di quel libro si è cominciato a parlare negli stessi ambienti dove il comandante operava con rigore. E quegli ambienti lo hanno portato all’attenzione di chi doveva essere informato. Non è il libro a essere scomodo, ma Vannacci militare fino al midollo.
Vannacci ha disobbedito: ha disobbedito all’ordine di stare allineato ad un esercito in cui quel generale non ha mai prestato alcun giuramento né un minuto di leva: l’esercito del Pensiero unico, globale, standard; un esercito dove non c’è una divisa perché il politicamente corretto individua facilmente i ribelli. Sapete quanta paura può avere un signore che le guerre le ha viste dal fronte e non in televisione? Nessuna. Forse per questo ora sta combattendo la guerra delle opinioni: “ha messo in imbarazzo l’Esercito”, dicono. In che senso? Gli hanno chiesto di chiedere scusa, ma a chi? E perché? Ci stiamo abbonando all’idea del dover chiedere scusa per ogni cosa che non piace agli amanuensi della nuova semantica globalista, della nuova grammatica standard. Abusiamo della parola democrazia senza più renderci conto che questa democrazia è malata, che non regge la dose minima di dissenso. Difendo Vannacci perché difendo la trincea – sempre meno affollata – di chi è disposto a dire quel che non piace si dica. La ruvidità di Vannacci rappresenta l’antitesi del mondo “Barbie”, il mondo che stanno spingendo come giusto, opportuno, corretto.
Stiamo vivendo in un mondo al contrario, dicono i nostri anziani che non si raccapezzano più. “Giusto o sbagliato” non è un processo che può portare alla cancellazione di una persona. Libro omofobo, razzista, xenofobo: meno male che non è passata la legge Zan!
Scrivevo nel mio recente libro “Moderno sarà lei” scrivevo: “Nel frattempo la pubblicità e la moda confonderanno i generi, ma non per provocazione artistica, quanto per nuovo “smalto” politico: tutto a taglia unica, tutto standard, unisex. E se la donna vuole avere il pene, che il pene abbia. O se l’uomo vuole avere le sette grosse, che abbia le sette grosse. <I giovani trans sono vulnerabili e noi vogliamo davvero sostenere e responsabilizzare questi giovani>, diceva Rachel Levine, l’assistente transgender del segretario alla Salute degli Stati Uniti, a favore dell’approvazione di una legge che sostenga quel tipo di trattamento che prevede l’assunzione di bloccanti della pubertà e la modifica chirurgica degli organi sessuali. Rachel Levine (prima ammiraglia a 4 stelle degli Stati Uniti) non è l’unica attivista che ha incarichi dirigenziali di alto livello nell’amministrazione americana: Biden ha anche nominato Samuel Brinton, una drag queen ai vertici del dipartimento dell’Energia. Ma anche in Italia la generazione fluida è una realtà anche dentro le scuole: grazie al tam tam su Facebook e sui social la rivolta degli studenti circa il riconoscimento dei loro nuovi diritti, duecento scuole circa riconoscono la “carriera alias” cioè la possibilità per quei ragazzi che non si riconoscono nel loro genere di poter cambiare nome e genere anche sul registro”.
Difendere il generale Vannacci significa infilarsi nella trincea di un pensiero che è altro e altrove, e conserva il sacrosanto diritto di manifestarsi e di potersi esprimere liberamente.