Ricordate l’epoca più buia del nuovo Millennio? Vale a dire il lockdown, quel momento, cioè, in cui ci chiusero tutti in casa, in cui vennero devastate in un colpo solo la società e l’economia. Autore del provvedimento choc fu Giuseppe Conte, all’epoca presidente del consiglio del governo pandemico. Governo in cui al ministero della Sanità figurava Roberto Speranza. Sull’inutilità e la dannosità dei lockdown sono stati scritti fiumi di parole e sono stati pubblicati migliaia di studi. Eppure i due protagonisti di quella stagione continuano a difendere quanto fatto. Ministero della Salute e ministero per l’Innovazione tecnologica istituirono subito un “gruppo multidisciplinare” di 74 esperti che, tra gli altri compiti, doveva “supportare i decisori pubblici […] svolgendo attività di studio e analisi” sull’efficacia delle chiusure disposte durante la prima ondata. E a quali conclusioni giunse quella task force? Ne parlano Francesco Borgonovo e Alessandro Rico in un loro articolo pubblicato su LaVerità l’8 maggio. (Continua a leggere dopo la foto)
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Gli esperti voluti dal governo produssero un documento che comprovava l’inutilità del lockdown iniziato a marzo e avvalorava anche le tesi della celebre “Great Barrington declaration”. Spiegano Borgonovo e Rico che alla base di quel documento c’era “l’idea di proteggere le categorie più esposte al rischio di morire per il Sars-Cov-2, politica che in Europa venne attuata dalla Svezia, con buoni risultati. Sicuro migliori dei nostri”. Le carte, caricate sulla piattaforma Github (quella dove, in seguito, sarebbero confluiti i dati sull’andamento delle vaccinazioni) sono state riesumate da Robert Lingard. Da qui emerge un testo Dell’8 giugno 2020 in cui, al paragrafo 2.2, si parla delle “relazioni fra lockdown e sviluppo dell’epidemia”. Gli esiti furono ignorati dall’esecutivo, che pure aveva ingaggiato l’équipe di tecnici. Gli scienziati sottolineavano “il peso relativamente contenuto dei flussi di interconnessione regionale”. Cioè, spostarsi tra regione e regione non determinava un aumento significativo delle infezioni. Il secondo punto, invece, rileva che il fattore determinante per la diffusione del virus era l’età. (Continua a leggere dopo la foto)
Le evidenze suggerivano che la fascia anagrafica dei più giovani, 0-19 anni, fosse quella “più contagiosa”. Ma ancora più interessante è la considerazione successiva riproposta da Borgonovo e Rico: “Emerge l’utilità di lavorare sulla stratificazione del rischio degli over 60, con misure adeguate di social e physical distancing”. Dunque, le “quarantene parziali” per giovani e anziani erano in grado di impedire “l’impennata” dei casi. “Notare – aggiungono – che tali strategie lasciano la massima libertà alla classe mediana”, dai 20 ai 60 anni, “corrispondente alle persone in età lavorativa”. Invece il governo Conte anche nella seconda ondata adottò il modello cinese. Eppure la task force consigliava “l’esecuzione di test di massa”, utili ad allentare le restrizioni su chi era già riuscito indenne dall’infezione e avrebbe potuto così ottenere certificati di immunità. Anche qui, però, il governo decise diversamente: ai guariti non fu concessa alcuna dispensa. Ci si doveva vaccinare e basta. L’Iss, da lì a poco, avrebbe preso a certificare che proprio “i vaccinati erano quelli che, in proporzione, s’infettavano di più”. Sul fatto che il governo non considerò il parere dei 74 esperti reclutati dal governo stesso “viene il dubbio – conclude Borgonovo – che in ballo ci fossero altri interessi”.
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