di Gianluigi Paragone – Ora che il centrodestra è al governo, le piazze tornano di moda. Quando invece regnava la grande ammucchiata di Draghi (tutti dentro, da Conte a Salvini passando per Renzi, Letta e Berlusconi) o il grande trasformista Giuseppe Conte, chi scendeva in piazza o in marcia con cadenza settimanale contro le misure di Speranza and Company era invece un pericolo, contro il quale schierare compatte le forze dell’ordine sotto gli ordini di prefetti e questori.
A Milano, nei sabati del regime Green Pass e del vaccino obbligatorio (provvedimenti contro i quali non vi è al momento alcuna abroga espressa), noi contestatori eravamo bollati con le peggiori etichette da coloro che adesso fanno le anime belle contro il decreto cosiddetto contro i rave party, sulla cui infelice scrittura mi sono già espresso. Per non dire delle manifestazioni di proteste di ristoratori, piccoli imprenditori, partite iva o lavoratori alcune delle quali sgomberate con le maniere forti, a suon di manganelli e idranti.
Ma appunto i tempi sono cambiati e le piazze tornano a essere un valore della democrazia, solo perché ritornano le bandiere arcobaleno e i vessilli di partito o dei sindacati che piacciono alla parte Giusta. Le prove generali le fanno sul tema della pace in Ucraina e vedono schierati in prima linea i Conte, i Letta, i sindacati (quelli che rivendicavano il vaccino obbligatorio per andare a lavorare), addirittura i Calenda con la nuova fiamma politica Lady Moratti. Insomma a timbrare il cartellino pacifista ci sono tutti coloro che la pace la propagandano dopo aver votato l’invio delle armi in Ucraina, dopo aver difeso le sanzioni contro Mosca <così da penalizzare l’economia russa e indebolire Putin> (infatti i dati del Fondo monetario sanciscono che il loro pil non ha risentito delle misure restrittive a differenza di quanto sta accadendo nell’eurozona, Italia in testa) e dopo aver salvato senza se e senza ma l’operato della Nato e di Zelensky, come se non vi fossero ombre nelle dinamiche che hanno poi portato all’aggressione del Cremlino verso Kiev. (continua dopo la foto)
Sfilare per la pace è bello, ti fa sentire sempre dalla parte del giusto. Ma le guerre non si fermano così. Così si fa solo propaganda, per di più una propaganda intrisa di ipocrisia: come si può pensare di rivendicare la pace se nel contempo si comprano armi (da chi, quali e quante non è dato sapere con precisione) da inviare in Ucraina, dove abbondano milizie irregolari.
La pace in politica è una parola che va pesata nel senso che non corrisponde all’idea di chi marcia in suo nome. Esiste il negoziato, esiste la mediazione; ma si tratta di concetti differenti per concretizzare i quali non si può prescindere dall’esame di ogni attore in campo. Dico di più: alla mediazione non si arriva pensando di cucirla con esperienza sartoriale solo su misura di una parte. La mediazione atterra nel mondo reale se si ha il coraggio di sedersi con colui che si ritiene essere il cattivo (anzi magari lo è pure) e riservargli un pezzo di rivendicazione. (continua dopo la foto)
I politici che oggi sfilano hanno il coraggio di dire basta all’invio delle armi? Hanno il coraggio di dire che hanno sbagliato con le sanzioni e di fermarle? Hanno il coraggio di tornare da Putin e negoziare la mediazione? Hanno il coraggio di imputare alla Nato errori che non possono più essere commessi? Il sultano Erdogan, nell’assenza di diversi attori protagonisti, sta giocando una partita che rischia di ritorcerci contro. Noi che siamo un presidio naturale nel Mediterraneo che vogliamo fare?
Se non si sciolgono questi nodi, la piazza resta una colorata manifestazione intrisa di propaganda. Per carità, ci sta e la disinvoltura di Conte e Letta lo dimostra. Ma basta saperlo.