La sottile linea rossa tra utero in affitto e femminicidio.
Se esistesse un misuratore del tasso d’ipocrisia, credo che la falsità di cui è intrisa la narrazione sentimentale dei committenti dell’utero in affitto rimarrebbe comunque incommensurabile.
Una narrazione che tace la contiguità culturale tra femminicidio e la visione di un mondo senza madri, fondata sulla prassi di spoliazione della donna e sulla sua riduzione ad organo biologico, ovvero sulla sua “cosificazione” (così come il nascituro è ridotto a prodotto mercificato).
Un immaginario in cui la figura femminile, la donna, è rimossa dall’universo relazionale.
Amore e diritti, sotto il profilo terminologico, sono i grandi abusati.
Al pari di donne e bambini orfanizzati intenzionalmente.
La lotta contro questi abusi è fondamentale e si combatte sul crinale che separa la civiltà umanistica da quella postumana.
Una società postumana che si fonda non già sull’amore, sull’affettività, come sostengono gli alfieri del “diritto di avere diritti su tutto”, ma sull’essenza nichilista di un laicismo liberista che ha per orizzonte spirituale i “valori” del Mercato, in cui una volontà che può tutto desiderare, può volgere tutto, anche l’essere umano o la vita nascente, in oggetto di desiderio e di scambio commerciale. Il nichilismo dell’incondizionata volontà rende negoziabili anche le funzioni vitali più intime e profonde, svilendole radicalmente.
L’orrore del nichilismo si presenta sotto le finte spoglie di un lirismo compassionevole che non ha però compassione per la dignità degli esseri umani; della donna come del bambino.
No pasaran!
Lorenzo Borrè