Ora la Cina ci frega anche i semi. Sotto gli occhi distratti di un governo per nulla determinato a difendere le aziende italiane in crisi dalle mire straniere, il nostro Paese rischia di dover assistere all’ennesimo, sanguinoso passaggio di mano, quello dell’azienda di sementi cesenate Verisem. Una realtà sulla quale, in un momento di grave emergena, Pechino ha già messo gli occhi, deciso a dar via a una produzione di ortaggi pseudo-italiani come già fatto in passato con altri prodotto di alta qualità, come il vino di Bordeaux finito nelle mani cinesi, oggi in controllo di almeno 160 vigneti francesi.
Un nodo, quello della Verisem, particolarmente delicato. Perché il governo, sulla carta, non potrebbe nemmeno effettuare quel potere di “golden power” introdotto per tutelare le aziende strategiche italiane e impedire che possano finire facilmente in mani straniere. La norma non menziona infatti il settore delle sementi, soltanto l’approvvigionamento “di fattori produttivi e agroalimentare”. Con il ministro dell’Agricoltura Stefano Patuanelli che, come rivelato da Repubblica, sta ora ragionando sulla possibilità di chiedere al Consiglio dei ministri di intervenire per trovare una soluzione prima che sia troppo tardi.
Fondata nel 1974 a Longiano, in provincia di Cesena, la Verisem era nata come piccola azienda dedita alla produzione di semi per frutteti domestici, andando però incontro a una rapidissima crescita. In 20 anni si è trasformata in una big del settore a livello internazionale. Con il passaggio, nel 2015, al fondo americano Usa Paine & Partners, che ne acquista la quasi totalità delle quote (il 6% resta italiano). A inizio 2021, la scomparsa del fondatore Antonio Suzzi, 73 anni. Ed ecco che subito la nuova dirigenza a stelle e strisce mette in vetrina, pronta a finire nelle mani del miglior offerente.
Gli acquirenti più interessati sono due colossi cinesi, determinati a sfruttare a livello internazionale i brevetti dell’azienda, e decisi a battere la concorrenza italiana rappresentata da una cordata tra Bonifiche Ferraresi e Fondo Italiano d’Investimento, quest’ultimo controllato dalla nostra Cassa Depositi e Prestiti. Secondo Repubblica Sygenta e Cic, con sede a Pechino, sarebbero pronte a sborsare anche 200 milioni di euro pur di concludere l’affare. Sfruttando la latitanza di un governo che non pare certo muoversi con la celerità necessaria, la Cina potrebbe così soffiarci un altro tassello fondamentale del nostro puzzle.
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