Prima hanno penalizzato la ristorazione, poi i balneari, adesso tocca ai pescatori. Il programma del governo Draghi è trasparente: un attacco diretto a categorie che da sempre rappresentano uno dei cardini del nostro sistema economico. I pescatori sono in rivolta principalmente perché con il caro gasolio non conviene più mettere la barche in mare. Un piccolo peschereccio spende fino a 5/6.000 euro a settimana, mentre queli più grandi arrivano a spendere a 60.000 euro: cifre insostenibili anche in condizioni di pesca favorevoli che, peraltro, non sono scontate. Italexit si è schierata al fianco dei pescatori sin dalla proposta, bocciata dal governo, di ridurre immediatamente le accise sui carburanti. Senza un intervento immediato sui costi, non ci sono soluzioni sostenibili per il comparto della pesca.
Il costo del gasolio si è impennato a causa della trasformazione della materia prima in prodotto finanziario, ma la voce principale di spesa è rappresentata dalle tasse. Italexit, dunque, chiede a gran voce un aiuto economico con un tetto massimo per il prezzo del gasolio di 60 centesimi al litro, con la differenza a carico delle Regioni o del Governo. Per questo vanno utilizzate anche le risorse aggiuntive della Ue, di cui si parla tanto ma delle quali non vi è traccia quando si tratta di aiutare famiglie e lavoratori. I pescatori non possono essere lasciati soli, e fra le voci che necessitano di uno sblocco immediato va ricordata la cassa integrazione alla categoria. Strumento approvato di recente ma frenato da lentezze burocratiche. Italexit denuncia anche le restrizioni che provengono dall’Europa. Le limitazioni alla pesca sono infatti causate anche da regolamenti comunitari voluti dal Comitato Scientifico, Tecnico ed Economico per la Pesca (STECF) nato di recente e con sede a Bruxelles. Questo ordinamento limita la pesca in maniera sostanziale, soprattutto in Italia.
Ma la struttura della normativa si basa su parametri sbagliati, secondo cui la diminuzione del fatturato del pescato nei nostri mari viene associata alla riduzione del numero di pesci. Non è così: la fatturazione è calata per via della crisi economica. È il numero di barche nella flotta ad essere diminuito, non i pesci. Queste quote vanno immediatamente messe in discussione, i pescatori italiani vanno difesi anche in sede europea. Il governo dia risposte serie, concrete e realizzabili.