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“Il femminismo è morto.” Lucetta Scaraffia denuncia l’ipocrisia: “posizioni ideologiche”

Pubblicato il 07/03/2024 20:54 - Aggiornato il 07/03/2024 22:37

Il femminismo è morto? Noi abbiamo messo il punto interrogativo, ma per Lucetta Scaraffia è una asserzione apodittica e incontrovertibile e, alla vigilia della Giornata delle donne, squarcia il velo delle 24 ore di ipocrisia e lancia quella che è più di una provocazione. La storica contemporaneista, nonché giornalista, cura una rubrica su La Stampa ed è lì che ha scritto come sia morta “l’affermazione base” del femminismo, ovvero quella secondo la quale le donne sono tutte “sorelle” nell’oppressione: nel senso che le “vittime di violenza non sono più tutte uguali”. E questo perché il silenzio e la mancata condanna di alcune violenze dimostrano che non c’è più l’idea di uguaglianza. Questa era una estrema sintesi del suo pensiero, ora approfondiamo il messaggio che Lucetta Scaraffia ha inteso trasmettere, non senza rimarcare con vigore che, ai tempi, lei stessa era autorevole membro del movimento per l’emancipazione della donna. “Con dolore e sgomento, all’avvicinarsi dell’8 marzo – scrive sul quotidiano torinese – mi trovo a constatare che il femminismo è morto”, e prosegue: “Nonostante le manifestazioni e le panchine rosse, e le condanne dei femminicidi che invitano a non rimanere in silenzio”. (Continua a leggere dopo la foto)
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“Le vittime non sono tutte uguali”

Proprio dal silenzio su alcune vittime rispetto ad altre, che Lucetta Scaraffia parte per spiegare come il femminismo attuale abbia adottato criteri diversi per difendere le vittime di violenze. Ma lasciamo parlare la stessa Scaraffia perché non possiamo non trovarci d’accordo, quantomeno chi scrive. “Il silenzio, invece, e non solo nel nostro Paese, ha cancellato agli occhi dell’opinione pubblica due gravi offese alla dignità delle donne – si legge ancora nel suo articolo – In questi ultimi mesi, infatti, i movimenti femministi hanno operato dei grandi distinguo fra femministe da difendere, cioè femministe buone, e altre da lasciare nel silenzio. Distinzioni motivate da prese di posizioni ideologiche”. Le donne non sono vittime solo a seconda delle nostre ideologie, insomma. Citando l’esempio delle associazioni femministe europee, che hanno accolto le notizie in merito all’inchiesta sugli stupri commessi da Hamas il 7 ottobre, senza condanne e completamente nel silenzio (nonostante le documentazioni in merito non lascino spazio a dubbi) e soltanto a causa di una “presa di posizione ideologica”. I nostri lettori lo sanno bene: quando l’autore di uno stupro, di uno scempio inenarrabile come quello sulla povera 16enne Desirée Mariottini, o di un femminicidio, è un musulmano, allora le compagne femministe restano in silenzio. Evidentemente non siamo solo noi a trovarlo un comportamento vergognoso. “Il nemico indicato è sempre il colonialismo bianco, di matrice ebraico cristiana, e le persone di cultura islamica sono considerate sempre le vittime, a prescindere dalle circostanze e dalla verità fattuale”, scrive ancora Lucetta Scaraffia. (Continua a leggere dopo la foto)
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La cosiddetta cultura cosiddetta woke

Così come, riguardo la deprecabile condizione della donna nella “cultura” islamica, nessuna pare indignarsi. La medesima condotta ideologica portata avanti dalla cosiddetta cultura cosiddetta woke che “ormai ha contagiato i nuovi femminismi, che tendono ad affratellarsi con i movimenti LGBT senza accorgersi che spesso le loro richieste sono contro le donne”, con evidente riferimento all’utero in affitto e alle adozioni dei gay.

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