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“Hanno distrutto la sanità pubblica”. Le parole di addio di un direttore del pronto soccorso diventano virali

Pubblicato il 23/08/2022 12:37 - Aggiornato il 23/08/2022 12:39

Marco Bordonali, 58 anni, direttore del Pronto Soccorso dell’ospedale San Giuseppe, nel centro della città a pochi passi dalla basilica Sant’Ambrogio, spiega in un’intervista all’AGI di averne abbastanza di Milano, «Una piazza ormai diventata ingestibile dove siamo sovraccaricati di lavoro, con pochi mezzi a disposizione, pressati da una popolazione numerosa ed esigente, a rischio continuo di denunce e aggressioni dei cittadini. Siamo un sacco da prendere a cazzotti».
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Una situazione ingestibile

Il suo racconto degli ultimi tempi nel presidio di primo soccorso è perfettamente in linea con le cronache quotidiane di questi luoghi, diventati ormai l’emblema di una crisi sanitaria che tiene i giovani medici ben lontani dal settore pubblico. Dall’altra parte ci sono i pazienti, che frustrati dalle attese insopportabili e dal loro malessere, spesso finiscono col litigare con gli operatori della salute. La Regione Lombardia sta valutando di mettere delle guardie giurate negli ospedali, in altre regioni sono già presenti.
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I P.S. sono diventati grandi ambulatori

Bordonali definisce questo disastro come «La trasformazione dei pronto soccorso in grandi ambulatori che devono sopperire alle carenze del sistema». Tutto comincia 4 anni fa, «Ma è stato il Covid a far emergere il disastro che era latente». Il direttore spiega poi le cause dalle quali deriva questa catastrofica situazione: «Così come è ora il pronto soccorso non è un più un servizio d’urgenza ma un posto dove viene la gente che non sa dove andare perché la medicina del territorio non funziona. I medici di base ricevono le persone dopo troppi giorni da quando ne avrebbero bisogno, gli esami clinici richiedono attese lunghissime e non ci sono strutture intermedie dove mandare chi ne avrebbe bisogno».
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Un sistema completamente sovvertito

Per questo, Bordonali parla di “un grande ambulatorio”: «E’ del tutto assente la rete di sostegno domiciliare. La conseguenza è che il sistema è stato completamente sovvertito: quello che dovrebbe essere il posto finale dove mandare il paziente, solo in caso di emergenza, diventa il primo», spiega il direttore del P.S., aggiungendo che «Ho iniziato a lavorare nei pronto soccorso 28 anni fa, la notte quando vedevi due pazienti era tanto. Ora, nelle 24 ore in cui siamo aperti, le urgenze reali sono pochissime. Arrivano con sintomi come la febbre alta, la gastrite, traumi senza lesioni. Su 100 pazienti, più di 80 sono codici bianchi e verdi. Del resto, come dargli torto? Qui nel giro di 4 ore ti fanno quello per cui dovresti aspettare 4 mesi, pagando al massimo un ticket da 25 euro».
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Le ore di attesa sulle barelle

Sulle lunghissime attese in barella alle porte dei pronto soccorso Bordonali fa un esempio recente della sua vita in corsia. «Nei giorni del grande caldo, le ambulanze non scaricavano le persone perché per loro non c’era posto nell’ospedale già intasato e quindi si creava un braccio di ferro tra noi e la centrale operativa che aveva bisogno di quelle ambulanze rimaste occupate molto più di quanto avrebbero dovuto. Il problema però non è tra chi ha più ragione ma nel sistema che non funziona. Così vediamo la gente sulle barelle per ore, anche in periodi non di pandemia. E’ la normalità». In particolare a Milano, che è «una città dove la gente pretende tutto e subito, è abituata a certi ritmi», i contenziosi sono all’ordine del giorno: «Ogni giorno smisto le denunce che, anche se infondate, sono una grande seccatura. Gli ospedali, appena le ricevono, come prima cosa denunciano il medico, senza cercare di capire chi ha ragione o torto».
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Hanno distrutto la sanità più bella del mondo

Nonostante le continue denunce sulla catastrofica situazione nei pronto soccorso italiani, tutto rimane com’è, «perché per risolvere la questione bisognerebbe mettere le mani su tutto», spiega Bordonali. «In Lombardia, una volta c’erano le Asl gestite da direttori scelti dalla politica, poi le Asl sono state fatte diventare aziende che però non hanno autonomia perché la Regione dipende dallo Stato e ognuno deve dimostrare di far bene non perdendo soldi. Invece è ovvio che la sanità sia in perdita. O provi a rivedere i ‘consumi’, per esempio toccando i medici di base che costano tantissimo ma rendono poco, oppure l’unico futuro possibile è quello della assicurazioni private. Tanto la sanità più bella del mondo non esiste più da un bel po’», dice sconsolato l’ormai ex direttore del pronto soccorso milanese.

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