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“Gli infermieri fanno lo slalom per attaccarci alle flebo”. Caldo, infarti e gastroenteriti, la sanità ai tempi di Big Pharma

Pubblicato il 20/07/2022 15:19

Il Pronto Soccorso del Cardarelli di Napoli è al collasso, come anche molti dei reparti dell’Ospedale. Sono diverse le testimonianze che arrivano da pazienti e sanitari, molte delle quali fanno rabbrividire per la drammaticità che trasmettono. La prima arriva da Giuseppe Falco, un pensionato 67enne ricoverato, appunto, al Cardarelli, dove in passato ha lavorato come operatore socio-sanitario. Intervistato da Repubblica, prima di pronunciarsi sgrana gli occhi ed inspira tutto il fiato possibile. «Basta guardarsi attorno, stiamo messi male. Uno addosso all’altro, con gli infermieri che fanno lo slalom pure per attaccarci una flebo. E adesso, con la temperatura che continua a salire, sta aumentando anche l’afflusso di pazienti: infarti, collassi e gastroenteriti».
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La testimonianza dell’ex operatore

Il racconto di Giuseppe Falco prosegue, evidenziando tutta la sua disperazione: «Ho una polmonite batterica, non Covid ma conseguenza delle sudate di una settimana fa». Dopo poche parole si ferma. Sospira, e prosegue: «Appena arrivato mi hanno visitato e, subito dopo, spostato sulla barella, ci sono rimasto per quasi 48 ore prima di ricoverarmi nell’Obi, l’Osservazione breve. Uno strazio, anche per fare pipì bisogna spostarsi nella sala dei “codice gialli” dedicata ai malati di media gravità. I medici fanno l’impossibile, ma i pazienti che pure sono tanti, sopravvivono nell’incertezza e in una condizione di disperato abbandono».
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La drammatica situazione nel Pronto Soccorso

Essendo ben a conoscenza della situazione, Giuseppe in Pronto Soccorso non ci voleva assolutamente andare ma «non ero in grado di gestire la situazione, a casa e sopraffatto dall’affanno». Le immagini che alleghiamo descrivono il calvario dei pazienti, costretti a stazionare per ore e ore, a volte intere giornate, sulle lettighe ammassate nelle aree del PS. Ovviamente nessuna privacy, tutti a ridosso l’uno dell’altro. Gli uomini e le donne che giungono in ospedale sono costretti a condividere piccoli spazi inventati, cercando un po’ di solidarietà tra di loro.
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La testimonianza di una paziente

Una casalinga dell’hinterland di nome Assunta rilascia anche la sua testimonianza. Le hanno diagnosticato una colica renale, ma deve fare l’ecografia per averne certezza: «Sono in attesa, ma non riesco a parlare con nessuno, i medici corrono da una parte e all’altra, e come li fermi? Le mie cose, comprese le scarpe, ho dovuto piazzarle sulla barella». Finisce anche lei nel salone di accesso, adibito a zona “open space” del Pronto Soccorso, di certo non adatto alle esigenze assistenziali dei malati. Un infermiere fa una smorfia nel dire che: «Qui mancano perfino le bocchette dell’ossigeno, perciò si sono riviste in giro le vecchie bombole. I servizi igienici sono solo tre, se si esclude il bagno per i degenti dell’area Covid».
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Il Pronto Soccorso è al collasso

Soltanto nella mattinata di ieri, nell’area del Pronto Soccorso stazionavano oltre 100 barelle, distribuite ovunque. Giovanni, 43 anni, è approdato al Cardarelli con una colica addominale. Viene sistemato su una di quelle famigerate lettighe, affianco a quella di un’anziana donna con le caviglie gonfie e problemi circolatori che, dice lui, «non mi ha fatto chiudere occhio. Ma poverina, si sente sola e ha paura di finire lì, senza neanche il conforto della figlia». E ha ragione la signora, perché solo qualche mese fa un altro ricoverato è morto nel bagno, senza nemmeno che qualcuno se ne accorgesse. La foto di quel corpo esanime fece il giro del web. Il sovraffollamento del Cardarelli è ormai a un punto di non ritorno.
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Non si salva nemmeno il reparto Covid

Come indica Repubblica, il responsabile del “Bed management” dell’ospedale inoltra ogni mattina lo stesso comunicato alla Centrale operativa del 118: «Configurandosi di fatto la saturazione della capacità ricettiva si rappresenta l’indicazione di evitare l’afferenza a questa struttura». Questo vorrebbe dire blocco dei ricoveri e accesso limitato ai soli pazienti gravi. Nemmeno l’area dedicata al Covid va meglio. Da inizio pandemia, infatti, dispone di un solo padiglione, ospitante più di 30 positivi. Inoltre, l’impianto dell’aria condizionata è malfunzionante e, visto il caldo torrido, l’amministrazione è dovuta correre ai ripari utilizzando dei condizionatori stile “pinguino”, che espellono l’aria calda da un tubo che fuoriesce dalla finestra. Infine, facendo riferimento al caldo infernale nel reparto, un infermiere nella palazzina ha riferito che: «Il personale in servizio nel reparto Covid indossa la tuta di biocontenimento obbligatoria. Per non parlare degli operatori della diagnostica radiologica e interventistica: per loro c’è da aggiungere il camice piombato per proteggersi dalle radiazioni, un supplizio».

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