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Giustizia o guadagno? Luci e ombre degli “attivisti finanziari”: chi sono e cosa fanno

Pubblicato il 07/02/2023 18:02
Nathan Anderson, short activist

Attivisti, sì, ma con la testa al portafoglio. Denaro batte ideologia 1 a 0. Questo è il risultato, almeno guardando a quando sta accadendo nel mondo dell’alta finanza. Non solo diritti umani, civili o ambientali, ma anche alta finanza. Gli attivisti si stanno occupando anche dei flussi di denaro a decine di zeri. Se gli attivisti per il clima bloccano le autostrade o imbrattano opere d’arte senza (apparentemente) guadagnarci nulla in termini economici, nel settore finanziario la questione è ben diversa. La storia più particolare in tal senso è quella del 37enne americano Nathan Anderson. Mai sentito parlare di lui? Voi forse no, il terzo uomo più ricco del mondo sì. Anderson è riuscito a mandargli in fumo più di 100 miliardi di dollari di capitalizzazione in una settimana. Cinque società quotate alla Borsa di Bombay, in India, collegate al gruppo di infrastrutture Adani ha ottenuto questo tragico risultato finanziario in seguito alla pubblicazione del report del fondo attivista “short” Hindenburg. E indovinate chi c’era dietro? Sì, proprio lui, Anderson. Ma il punto è: solo attivismo o anche lui ha avuto un bel guadagno da questa operazione? (Continua a leggere dopo la foto)

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A raccontare come sono andate le cose è Repubblica, che ha ricostruito i fatti. Il rapporto di Anderson, frutto di 2 anni di ricerca dettagliatissima, è stato pubblicato il 24 gennaio scorso con un titolo emblematico: “Gruppo Adani: come il terzo uomo più ricco del mondo ha organizzato la più colossale truffa nella storia”. Nel testo di legge di presunte gravi irregolarità contabili, falsi, manipolazioni dei prezzi di Borsa. Il risultato? In pochi giorni il gruppo indiano ha perso 100 miliardi di capitalizzazione e Adani 50. Prima dell’inchiesta Adani era il terzo uomo più ricco del mondo, secondo la classifica di Bloomberg, con un patrimonio stimato in 120 miliardi di dollari. Oggi è fuori dalla top ten. (Continua a leggere dopo la foto)

Ma oltre a denunciare e a fare questi report, Anderson ci guadagna pure? Sì, come spiega Repubblica, “vende short il titolo che attacca, poi pubblica il suo rapporto e se ha ragione e il mercato reagisce accumula profitti soddisfacenti”. Per non dire milionari. Un altro suo ex collega fa lo stesso. Si tratta dell’italiano Gabriele Grego che in passato ha lavorato proprio con Nathan Anderson. Grego è stato l’artefice di un’altra operazione, quella su un’altra società con sede a Cambridge, Darktrace, attiva nel campo della cybersecurity e da poco quotata in Borsa. Grego aveva condotto nel 2019 una battaglia “shortista” in Italia, contro la società Bio-On, e dopo tre mesi l’ha vinta essendo scattato l’arresto dai manager da parte della magistratura. Ma il capostipite dello “short activism” viene individuato in Carson Block, colui che nel 2010 fondò Muddy Waters e diede il via a un filone di business che si è sviluppato negli anni dei Quantitative easing di Fed e Bce. (Continua a leggere dopo la foto)

Ma come funziona lo short activism? Gli attivisti fanno le indagini, e quando il lavoro è completo si rende pubblico, soprattutto attraverso i social. A quel punto spetta al mercato e agli investitori decidere chi ha ragione. “Se il titolo crolla, come spesso è accaduto, allora è possibile che il fondo ribassista chiuda la sua posizione e porti a casa il guadagno. Un comportamento che ha messo in allarme le autorità di regolazione che hanno avviato indagini sugli stessi fondi “short”, come Muddy Waters, ma che finora non ha comportato conseguenze”.

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