Ci avevano provato, senza troppa fortuna, prima Silvio Berlusconi e poi Matteo Renzi. Per nulla scoraggiata dai fallimenti dei suoi illustri predecessori, anche Giorgia Meloni ha ora deciso di arrampicarsi lungo l’ostica parete della riforma costituzionale, sottolineando di aver fretta di portare l’Italia “nella Terza Repubblica”. Espressione utilizzata per segnare la volontà di modernizzare il Paese, anche nella sua struttura istituzionale. E messa nero su bianco in una lettera inviata alla convention della Dc organizzata da Gianfranco Rotondi a Saint Vincent. Il contenuto del testo è stato anticipato dal Corriere della Sera: “Abbiamo sulle nostre spalle una responsabilità storica, consolidare la democrazia dell’alternanza e accompagnare finalmente l’Italia nella Terza Repubblica”. (Continua a leggere dopo la foto)
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La premier spera di scrivere una vera e propria pagina di nuova storia politica, alla guida di un centrodestra che “aspira a essere la sintesi di tutte le idee maturate nell’alveo della tradizione conservatrice e cristiano-liberale”. Nel concreto, questa sorta di rivoluzione immaginata da Meloni dovrebbe avvenire tramite un disegno di legge in cinque articoli sul cosiddetto premierato soft, destinato ad approdare nel Consiglio dei ministri nei prossimi giorni. (Continua a leggere dopo la foto)

Un testo che può essere ancora modificato, visto che su alcuni passaggi pare ci siano ancora spaccature all’interno della coalizione di governo. L’ultima bozza della legge, che entrerebbe in vigore alla fine del secondo settennato di Sergio Mattarella (2029), è da giorni a Palazzo Chigi, dove i tecnici si stanno confrontando con il Quirinale. Nel ddl il capo dello Stato conferisce l’incarico al premier eletto e mantiene il potere di nominare i ministri su indicazione del capo del governo, il quale non può revocarli. Non una sfiducia costruttiva, ma una norma anti-ribaltone per garantire continuità alla legislatura e impedire che i parlamentari cambino casacca. (Continua a leggere dopo la foto)

Sempre secondo il testo, in caso di dimissioni o caduta del premier sarebbe obbligatorio il ritorno al voto: “Il Quirinale può conferire l’incarico allo stesso premier uscente, oppure a un altro parlamentare, collegato al predecessore eletto direttamente dal popolo, purché sia votato dalla stessa maggioranza in entrambe le Camere”. Cardine del progetto è l’elezione diretta del premier, il cui mandato durerebbe cinque anni: “C’è l’indicazione per un sistema elettorale maggioritario con un premio del 55% assegnato su base nazionale ed è prevista una sola scheda, con cui votare sia il premier sia le Camere”. Una proposta che continua a far discutere e per la quale, però, Meloni è decisa a battersi.
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