Ci hanno parlato per mesi di un Mario Draghi versione salvatore della patria, unica opzione possibile per assicurare all’Italia un futuro roseo, di ripresa, dopo la crisi sanitaria ed economica. Come se l’avvento dell’ex presidente della Bce fosse sufficiente, da solo, a spazzar via ogni problema, ogni errore commesso fino al momento del suo ingresso a Palazzo Chigi. Le cose, ovviamente, non stanno così e anche i più strenui sostenitori del nuovo premier in questi giorni si trovano a dover nascondere la testa sotto la sabbia. Tra il Draghi 1 e il Conte 2 le differenze sono pressoché inesistenti: si prosegue lungo il solco delle chiusure, delle restrizioni, obbediendi ciecamente a un’Europa che continua a lasciarci gestire soltanto le briciole (e alle sue regole).
Draghi, come Conte, ha iniziato a fare ricorso ai Dpcm come unico strumento possibile per affrontare la crisi, scavalcando puntualmente il Parlamento e il suo ruolo. Ed esattamente come l’Avvocato del Popolo ha deciso di dichiarare guerra alle festività, occasione preziosa per commercianti e ristoratori per tirare un po’ il fiato e incassare qualcosa. Niente da fare, Pasqua e Pasquetta in lockdown mentre tutta Italia passerà, già dalle prossime ore, a zona arancione o rossa. Le analogie tra i due, inquietanti, si riflettono anche sulla comunicazione e, in particolare, sull’allergia di entrambi i premier ad affrontare le domande della stampa.
Draghi, come Conte, non organizza delle vere e proprie conferenze stampa, limitandosi a monologhi in cui parla al Paese senza essere disturbato. Con una differenza, però. Quando l’Avvocato del Popolo, il 22 marzo 2020, annunciava le misure adottate dal suo governo per contrastare la pandemia in una diretta Facebook, politici e giornalisti insorsero. “Questa è una pandemia, non il Grande Fratello”, “ha solo dato sfoggio al suo ego”, “avrebbe dovuto fare la conferenza stampa, rispondendo alle domande”. Un anno dopo, Draghi si è presentato davanti alla telecamera per dire agli italiani: “Cari, vi chiudo tutti in casa, di nuovo”. Nessuno, però, ha avuto il coraggio di alzare la voce.
Un anno fa si erano mossi, in ordine sparso, l’Ordine dei giornalisti, l’Associazione stampa parlamentare, l’Usigrai, la Federazione nazionale stampa italiana. “Inaccettabile impedire ai giornalisti di porre domande” era la tesi ricorrente, sposata in fretta anche dai politici dell’opposizione. Giorgia Meloni, per esempio, parlava di “intollerabili i metodi di comunicazione da regime totalitario utilizzati dal governo per l’emergenza coronavirus”. Oggi, invece, tutto tace. Perché l’importante, in fondo, era piazzare Draghi a Palazzo Chigi. Per pensare all’Italia, in ginocchio da oltre un anno, ci sarà tempo.
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