Di Gianluigi pAragone – L’altro giorno sui giornali e sui social trionfava la foto simbolica dei vigili del fuoco stremati dopo giornate lavorate in condizioni infernali, inteso proprio nel pieno significato dell’espressione.
Una foto densa di travaglio, di fatica arrivata a consumare le ultime energie, di sacrificio. Una foto che consente ai giornalisti di scrivere articoli bellissimi, inzuppati di elegante prosa e carichi di retorica; e ai politici di ergersi a paladini di chi, indossando una divisa o una tenuta di lavoro, lavora per l’Italia e per il bene di tutti i cittadini. I quali cittadini, ovviamente, si stringono a quei lavoratori che ci riempiono d’orgoglio. Nel periodo del Covid, alcune immagini diventavano iconiche della fatica, del tormento, dello stress, come quella dell’infermiera stremata e piegata sulla scrivania in cerca di riposo.
Immagini talmente forti e impattanti che ce le siamo quasi dimenticate. Che volete, nel tempo di Instagram, le immagini si consumano nel mentre si pubblicano e si commentano. E’ il paradosso di questo tempo social: nel tempo della parola, le fotografie erano immortali. Il cambio di paradigma dalla parola all’immagine (Giovanni Sartori ci ammonì nel suo Homo Videns) ha indebolito la potenza dell’immagine dopo aver svuotato la parola di ogni forza.
Spero di sbagliarmi ma dello sforzo immane di quei lavoratori, di quei vigili del fuoco, tra quindici giorni resterà un ricordo tra tanti, magari divorato non più dalle fiamme (come speriamo) ma dalla idiozia di chi si farà dirette e selfie dagli stessi luoghi dei roghi e delle disgrazie, teatri di posa impareggiabili per catturare followers webeti.
Ciò detto, ringraziamo quei pompieri (si può ancora chiamarli così oppure mi sono perso qualcosa nell’aggiornamento del vocabolario politicamente corretto?) e aggiungo: paghiamoli come meritano. Vediamo di non ripetere quel che accadde col periodo di emergenza Covid quando le ore di straordinario straordinario (nel primo caso inteso come impegno eccezionale, come slancio fuori dal comune; nel secondo come lavoro oltre l’ordinaria giornata lavorativa) furono contabilizzate sommando pubblici encomi, grandi pacche sulle spalle ma con avare ricompense economiche. Perché, lo Stato non ha mai abbastanza soldi quando si tratta di pagare i suoi lavoratori. Anzi, i suoi “eroi quotidiani”.
I vigili del fuoco che adesso stiamo mettendo in prima pagina perché siamo in emergenza, sono gli stessi vigili del fuoco che stanno alla voce “dipendenti pubblici” e che qualcuno maledice perché troppi, fancazzisti o altro. Sono gli stessi le cui paghe non sono per nulla commisurate all’importanza della loro funzione. Ricordare che uno Stato necessita quotidianamente della funzione pubblica (!) dei sanitari o dei pompieri o delle forze dell’ordine in generale significa essere consapevoli del fatto che la piena operatività e reattività nelle emergenze passa da una quotidianità svolta con serietà: nessuna prestazione eccezionale o straordinaria sarebbe possibile se l’ordinario non fosse garantito con altrettanta serietà. Nessun atleta senza allenamento costante, quotidiano e “invisibile”, sarebbe in grado di prestazioni importanti. La foto di quei vigili del fuoco è la foto di una squadra che ha vinto una partita importante, che ha trasferito nel campo operativo le sue competenze e il suo addestramento. Nello sport ci sono gli sponsor che pagano, laddove la divisa è di un corpo dello Stato tocca al governo metter mano al portafoglio. A meno che non vogliamo sponsorizzare le divise degli eroi, con marchi di imprese Made in Italy che defiscalizzano quel contributo. Può essere una idea (che non mi fa impazzire, sia chiaro).