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Debito pubblico, il conto salato della pandemia. Ma in Europa già si pensa al Patto di Stabilità

Pubblicato il 02/03/2021 13:06 - Aggiornato il 02/03/2021 13:15

Un colpo al cuore e alle tasche, soprattutto per coloro che avevano già grosse difficoltà. L’anno della pandemia ha spezzato ciò che si sosteneva su ramoscelli esili e fragili. La nostra economia e in generale le condizioni finanziarie degli italiani sono peggiorate, in particolare si sono accentuate le differenze nei redditi.

Il sito truenumbers.it propone una panoramica che mostra quanto successo in un anno, dall’inizio della pandemia fino ad oggi.  “La crisi economica del 2020 sarà ricordata nella storia come la peggiore dal Dopoguerra a oggi”, si legge sul sito.

Nonostante “le stime della Commissione Europea e delle istituzioni internazionali siano nel corso dei mesi migliorate, il debito pubblico italiano ha sforato il tetto del 155% del Pil, che è crollato dell’ 8,9% tornando ai livelli di 23 anni fa e il deficit ha toccato quota 9,5%. Il crollo del prodotto interno lordo è superiore rispetto a quello del 2009, anno nel pieno della crisi finanziaria mondiale.

Al di là degli indici economici, l’impatto è stato ben visibile sulle tasche delle famiglie, sul lavoro e consumi. I consumi sono diminuiti dell’11,7% nel 2020. Si potrebbe ritenere che l’incremento della propensione delle famiglie al risparmio, tendenza che ha interessato l’ultimo periodo, sia una buona notizia, in realtà non lo è affatto: “La rinuncia ai consumi di tutte le famiglie ha significato un calo dei redditi più diseguale e concentrato, proprio in coloro che quindi si occupano di servizi di consumo, come commercio, ristorazione, turismo. Ovvero quei settori in cui già prima della pandemia vi erano i lavoratori più fragili, più giovani, più precari, con una sovra-rappresentazione delle donne”.

La pandemia da coronavirus ha aumentato la disuguaglianza nei redditi. Secondo i dati forniti dallo studio condotto dalla Banca d’Italia, dal titolo “L’impatto della pandemia sui redditi da lavoro: il caso italiano”, la disuguaglianza, misurata dall’indice Gini, sale da 34,8 nel 2019 a 36,5% nel primo trimestre 2020 e a 41,1% nel secondo trimestre 2020. L’indice di Gini, ricorda il sito, è l’indicatore internazionalmente riconosciuto come il più preciso per misurare la disuguaglianza nella distribuzione del reddito, perché misura quanto la curva di aumento del reddito stesso si discosta dalla perfetta uguaglianza tra poveri e ricchi.

Ma cosa volete che importi all’Unione europea se tanto le uniche vere loro preoccupazioni sono quelle di far follemente rispettare le regole di austerità e di stabilità del debito? Hanno messo dei numeri prima di ogni cosa. Numeri e tagli prima delle famiglie, della qualità dei servizi: sanitario, scolastico, dei trasporti e non solo… La regola per loro è tagliare, ma cosa ci sarà più da tagliare adesso che l’Italia è già ridotta a brandelli?  È recente la notizia del vicepresidente Valdis Dombrovskis, il quale, preoccupato per la sostenibilità dei conti pubblici, sta spingendo un ritorno anticipato al ripristino delle regole per la stabilità del debito.

L’unica vera risposta è sciogliere le catene che tengono legate le sorti del nostro Paese all’Europa.