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“Mascherine difettose ai medici”. Fuori dal coro incastra Arcuri: i test

Pubblicato il 10/02/2021 16:00

Continuano i guai per il supercommissario Arcuri. Nonostante sia sempre più vicino al dover lasciare il suo incarico, arrivano ogni giorno nuove segnalazioni su mancanze ed errori direttamente o indirettamente riconducibili a lui e al suo operato. Uno dei temi più caldi, fin dal suo insediamento, è stato quello delle mascherine. E adesso a questa saga si aggiunge un altro capitolo. Nello specifico si parla delle mascherine date in dotazione ai medici, quelli che per tutta la pandemia lui e il governo si sono sgolati a chiamare “eroi” e che però, molto spesso, sono stati mandati allo sbaraglio. Durante l’ultima puntata della trasmissione “Fuori dal coro”, andata in onda il 9 febbraio su Rete4, è stata presentata un’inchiesta relativa alle mascherine FFP2 acquistate a marzo 2020 dalla Cina, incluse in una commessa da 1,2 miliardi di euro voluta dal commissario Domenico Arcuri. (Continua a leggere dopo la foto)

Come riporta Il Giornale, che ha ripreso l’inchiesta, “erano i giorni della prima ondata, dello tsunami improvviso che ha travolto l’Italia, che si è trovata sorprendentemente sguarnita di dispositivi di protezione individuale negli ospedali. Come riferisce il comunicato stampa della trasmissione, per quella commessa sono ora indagati dalla procura di Roma tre intermediari, che avrebbero trattenuto circa 72 milioni di euro di provvigioni. Carmen La Gatta, che ha condotto l’inchiesta ha portato due mascherine a campione di quella commessa in un laboratorio d’analisi per effettuare la verifica della funzionalità”. Cosa ha scoperto? (Continua a leggere dopo la foto)

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Non è stato scelto un laboratorio qualsiasi ma alla Fonderia Mestieri SRL di Torino. “Questo è l’unico laboratorio italiano qualificato da Eurofins, ossia l’ente accreditato dal ministero della Salute per svolgere questo tipo di analisi. I test effettuati dai tecnici sono stati trasmessi nel corso della puntata di Fuori dal coro e i risultati ottenuti sono stati più che deludenti. È emerso che quei dispositivi di sicurezza individuali non possono essere certificati secondo l’attuale norma di legge. A fronte di una capacità di penetrazione massima del 6% prevista della normativa attuale, le due mascherine a campione analizzate a Torino hanno evidenziato una capacità di penetrazione delle particelle tra il 50 e il 70%”.

“I test sono stati effettuati con due sostanze differenti. Alla prima prova con l’olio di paraffina, una mascherina ha evidenziato una capacità di penetrazione del 73,99% mentre alla seconda prova effettuata con il cloruro di sodio la capacità di penetrazione è stata del 50,98%. Questo è l’aspetto più inquietante dell’inchiesta condotta da Fuori dal coro. Ma, se anche avessero avuto una capacità di filtrazione entro i limiti stabiliti per legge, le mascherine analizzate non sarebbero comunque potute essere certificate in Italia. Infatti manca la possibilità di indentificare il singolo produttore di ogni dispositivo, così come specificato dall’attuale normativa. Queste mascherine, quindi, non sarebbero potute essere utilizzate nel nostro Paese”.

Eppure, non solo sono state distribuite, ma sono state assegnate agli operatori di alcuni ospedali del Friuli Venezia Giulia il 27 maggio scorso. “Risultano essere state prodotte dalla Wenzohou Husai e importate dalla Wenzhou Light, una delle società scelte dai tre italiani indagati. Sono costate 2,16 euro l’una”. Come spiega il quotidiano La Verità, “trattandosi di un momento emergenziale, il Cts ha adottato il protocollo d’urgenza che ha consentito di certificare le mascherine sulla base della documentazione cinese consegnata dai fornitori”. Arcuri darà risposte almeno stavolta?

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