Antonella Stirati è professoressa ordinaria di Economia politica presso la Facoltà di Economia dell’Università Roma Tre e autrice del libro “Lavoro e salari – un punto di vista alternativo sulla crisi”. Daniele Nalbone l’ha intervistata per micromega e riportiamo qua alcuni passaggi molto interessanti su Europa, Recovery Fund, crisi e gestione dell’emergenza da parte del governo. “Sul fronte economico è necessario fare un passo indietro – dice Antonella Stirati -. L’economia italiana aveva gravi problemi ben prima della pandemia. O meglio, i veri problemi li avevano i cittadini italiani. Da una grande recessione come è stata quella del 2008 non si esce se non ci sono politiche finalizzate alla ripresa. Politiche che i paesi della ‘periferia europea’, con gravi problemi di debito di bilancio pubblico sulle spalle, non hanno potuto attuare. Anzi sono stati spinti dalle scelte di politica economica nell’Eurozona a fare politiche che hanno prima molto accentuato la recessione e poi ostacolato la ripresa. L’Italia all’inizio del 2020, prima della pandemia, si trovava in una situazione, per quanto riguarda i livelli di produzione e quelli di occupazione misurati in ore di lavoro, inferiori a quelli del 2007. In 12 anni non siamo riusciti a ritornare al punto in cui eravamo”.
Continua Antonella Stirati la sua analisi: “Ci dobbiamo quindi aspettare una sofferenza dell’economia ancora per qualche tempo. Negli ultimi mesi la politica economica un po’ in tutti i paesi ha necessariamente indirizzato le risorse al sostegno dei redditi delle famiglie e della liquidità delle imprese. In tal modo è possibile limitare la caduta del PIL legata alle misure di contenimento del virus. Gli Stati Uniti, però, hanno speso il 15 per cento del pil per questo tipo di politiche. Lo stesso ha fatto la Germania. L’Italia ha speso il 5 per cento. Queste differenze sono ovviamente legate ai timori determinati dall’elevato debito pubblico pregresso, dal timore di indebitarsi ulteriormente e che, nel breve termine, venga chiesto una rapida riduzione del debito”.
A tutto ciò va aggiunta un’incertezza di fondo nell’assetto europeo. Banalmente: non sappiamo quando si tornerà alle vecchie regole fiscali, ma è comunque solo questione di tempo. Punge Nalbone. E Antonella Stirati commenta: “Non sappiamo se la Banca centrale continuerà a sostenere i paesi europei acquistando titoli del debito pubblico come, per esempio, fa la Banca centrale statunitense. Non sappiamo quando torneranno in vigore le regole fiscali e monetarie europee. Questo ha determinato prudenza da parte di alcuni stati. Una cosa è certa: questa crisi accentuerà ulteriormente le divergenze che in Europa erano già ben presenti. La pandemia aggraverà le differenze territoriali all’interno dell’Ue“.
Cosa accadrà quando le regole europee, leggasi le misure di austerità, torneranno in vigore? “Gli strumenti introdotti per fronteggiare la crisi, penso al recovery fund, sono semplicemente in contrasto con il patto di stabilità che, se reintrodotto, rischia di inficiare quello che di buono è stato fatto. Tornare al passato, alla normalità, rischia di aprire il baratro. C’è una contraddizione di fondo tra le misure approvate e le regole attualmente sospese. Più spesa significa più debito. Ma i paesi che spenderanno di più avranno con molta probabilità una minore caduta del pil. Risparmiare, quindi, significa sì non indebitarsi, ma al tempo stesso determina una forte caduta del pil, e quindi anche un aumento del rapporto debito pil, che è invece proprio il rapporto che all’Italia si chiede di ridurre. Dobbiamo renderci conto di un dato di fatto: l’austerità, alla fine, non riduce il rapporto tra debito pubblico e pil, anzi se attuata troppo severamente e in periodi di recessione o stagnazione economica lo fa aumentare, come è già accaduto in Italia tra il 2011 e il 2013: le severe politiche di tagli e aumento dell’IVA allora adottate hanno determinato un aumento del rapporto debito-Pil di oltre dieci punti percentuali. Per uscire da questa crisi l’unica strada è una spesa pubblica che rilanci l’economia. Servono investimenti e consumi pubblici con un elevato coefficiente moltiplicatore, che abbiano un impatto importante sul pil. Che senso ha stanziare miliardi di euro per fare investimenti nei paesi in crisi se, in parallelo, si tornano a chiedere politiche di tagli alla spesa? L’effetto espansivo sarebbe impercettibile, per non dire nullo”.
Conclude Antonella Stirati: “Temo molto il ritorno del tema della riduzione delle tasse, a meno che non si tratti di redditi da lavoro dipendente particolarmente bassi, e dei sussidi e delle facilitazioni fiscali alle imprese. Questi ultimi, soprattutto se distribuiti a pioggia, non hanno alcuna efficacia nel rilanciare l’economia. […] L’unica strada per uscire da questa situazione è usare il buon senso e comprendere la reale natura della Unione Europea come terreno di conflitto e negoziazione tra interessi diversi”.
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